Nel 1919, esattamente 100 anni fa, l’Italia visse uno dei periodi politici e sociali più delicati e importanti della sua storia recente. Furono 12 mesi che generalmente la storiografia ricorda come fra i più inquieti dell’inizio del XX secolo – cosa non del tutto sbagliata sotto alcuni punti di vista – ma che di fatto furono anche ricchi di contenuti e tematiche dal significato eterogeneo. E’ il caso di analizzarne bene gli aspetti e approfondire i motivi che determinarono le crisi antecedenti al ventennio fascista.
Malgrado i recenti fatti traumatici vissuti dalle istituzioni e dalla stessa popolazione (la Grande Guerra si era appena conclusa), ciò che accadde fu contrassegnato da una serie di avvenimenti del tutto innovativi, soprattutto per la politica e il welfare nazionale. E così, se a Roma Don Luigi Sturzo e i suoi fedelissimi si resero protagonisti del ritorno organizzato dei cattolici alla vita politica attiva dopo il non expedit, a Milano Benito Mussolini fondava i fasci di combattimento, i quali sarebbero confluiti, di lì a poco, nel Partito Nazionale Fascista. Contestualmente, nelle campagne e nelle fabbriche contadini e operai avviarono le loro lotte per migliorare le cattive condizioni di vita, peggiorate in maniera progressiva a seguito del processo inflattivo post-conflitto. Dall’estate 1919 i lavoratori diedero luogo a quell’ondata di scioperi e occupazioni, più comunemente conosciuta come “biennio rosso”, la quale fu condizionata da numerosi episodi di sangue e da una mobilitazione senza precedenti per il mondo del lavoro italiano.
Quegli avvenimenti, apparentemente disgiunti tra loro, furono legati in realtà da un unico, determinante, filo conduttore: la frammentazione delle lotte. Elemento che mise a repentaglio le sorti dello Stato liberale e dei deboli ordini costituiti – ancora poco radicati – dopo i trattati di pace del 1918.
La più considerevole novità fu relativa all’iniziativa dei popolari, i quali abbandonarono la tradizionale linea astensionista e si presentarono al paese con una impostazione laica e democratica (pur ispirandosi apertamente alla dottrina cattolica). Altro fattore di cambiamento fu la forte crescita dei socialisti; questa, caratterizzata da un grande aumento di iscritti (nel 1919 arrivarono a sfiorare le 200.000 unità), mise in evidenza la schiacciante maggioranza delle correnti di sinistra (o massimaliste), che erano destinate a dare un impulso decisivo alle agitazioni sociali e sindacali del periodo. Fra i due movimenti si insinuò quello guidato da Benito Mussolini, il quale, nonostante si fosse dichiarato di sinistra, ostentò invece una feroce avversione nei confronti dei socialisti mostrando al contempo un acceso nazionalismo.
Se si pensa al panorama politico post-bellico emerge un quadro abbastanza convulso, la cui prerogativa principale fu legata alle tante piccole rivoluzioni destinate a contrapporre i movimenti fra loro e a creare gravi divisioni nella società. A fronte del successo ottenuto alle elezioni del novembre ’19 dai socialisti (1.800.000 voti) e dai popolari (1. 160.000), che diede la misura delle trasformazioni in corso, si verificò un crollo delle forze politiche tradizionali, impegnate faticosamente nel tentativo di dare un equilibrio al paese. Tale status fu senz’altro accentuato dal sistema proporzionale adottato per la tornata elettorale, che contribuì a frammentare ulteriormente il quadro politico, sollecitato ormai senza soluzione di continuità da nuove istanze e nuove presenze nella società italiana.