Noi sappiamo, ormai da tempo, che le leggi elettorali sono il frutto delle convenienze momentanee e dell’opportunismo di partito in quel particolare momento politico. Gli esempi, al riguardo, si sprecano persino. È appena sufficiente scorrere le cronache concrete del Partito democratico in questi ultimi mesi. Con il governo giallo/rosso la segreteria nazionale del partito era seccamente e strenuamente a difesa del proporzionale e la conseguente cancellazione della sciagurata e pessima legge elettorale, il cosiddetto “rosatellum”. E quasi tutto il partito, di conseguenza, era schierato come un sol uomo su quella prospettiva. Passano pochi mesi e arriva Letta dalla Francia dopo l’auto esonero di Zingaretti in polemica feroce con il suo partito e quell’impianto proporzionale cede il passo al ritorno secco del maggioritario. E anche qui, altrettanto puntualmente, tutto il partito si allinea e cambia, di conseguenza, radicalmente la prospettiva politica per il principale partito della sinistra italiana. Passano alcune settimane e, nel frattempo, si spezza clamorosamente l’alleanza – definita troppo frettolosamente “storica, organica e strutturale” da alcuni strateghi del Pd – con il partito di Grillo e di Conte, cioè i 5 stelle, e si riaffaccia miracolosamente nel dibattito interno la necessità del ritorno al proporzionale.
Ora, è del tutto evidente che la futura legge elettorale sarà il frutto e la conseguenza dei sondaggi in quel particolare momento storico e, soprattutto, del risultato delle elezioni amministrative di ottobre dei singoli partiti. Due considerazioni che, ovviamente, prescindono radicalmente da qualsiasi alleanza politica di lungo respiro e di lungo termine perchè tutto è legato alla contingenza e alla stringente attualità. Certo, la distanza con il passato al riguardo è semplicemente siderale. Perchè il nostro paese, è sempre bene non dimenticarlo mai, ha avuto la medesima legge elettorale per quasi 50 anni dopodichè è partito il valzer dei cambiamenti quasi ad ogni legislatura. Nulla di grave, per carità. Ma non possiamo, al contempo, non rilevare che il cambiamento così repentino delle leggi elettorali non risponde più ad alcun disegno politico di lungo respiro ma solo e soltanto alla logica della contingenza e dell’interesse politico momentaneo dei vari partiti e cartelli elettorali. Nulla di strategico, quindi. Ed è proprio lungo questo percorso che si smarrisce il valore della politica come progetto storico e di lungo termine. Del resto, la legge elettorale di per sè non cambia il panorama della politica ma ne determina e ne condiziona profondamente le modalità di comportamento. Non a caso, con le leggi elettorali tramontano e nascono nuovi partiti, scompaiono e si riaffacciano nuove alleanze politiche e, soprattutto, può emergere – o meno – una nuova classe dirigente. Basti ricordare, per fare un solo esempio, cosa hanno significato concretamente nella politica italiana l’irruzione – positiva – del Mattarellum da un lato o del “porcellum”con le liste bloccate dall’altro. Due modalità, due leggi elettorali, due modi d’essere nella politica italiana che hanno contribuito a creare due modelli politici profondamente diversi tra di loro.
Ecco perchè, alla fine, sarebbe auspicabile che la legge elettorale rispondesse, seppur solo minimamente, ad un disegno politico di lungo termine. Sarebbe, questo, anche l’unico modo per battere alla radice il trasformismo da un lato e, soprattutto, per evitare di perpetuare la crisi della politica dall’altro. Il trasformismo, l’opportunismo, il populismo e l’anti politica introdotti dai 5 stelle in questi ultimi anni negli ingranaggi della politica italiana non possono continuare ad essere il faro che illumina il comportamento dei partiti. Serve, veramente, una inversione di rotta archiviando definitivamente tutto ciò che in questi ultimi tempi ha immiserito e dequalificato la politica italiana e lo stesso tessuto etico della nostra democrazia. Se si vuole si può fare.