Per Giorgia Meloni il “caso De Angelis” non è stato solo uno scivolone comunicativo di uno degli esponenti del sottobosco dell’estrema destra a cui, per riconoscenza elettorale, ha dovuto assicurare un posto di rilievo (in questo caso alla Regione Lazio) Purtroppo per la Presidente del Consiglio questa vicenda rischia di essere molto più deleteria, se non si affretterà a correggere drasticamente la rotta.
In particolare, due sono gli aspetti su cui la leader di FdI è stata messa alla prova. Prova che, ad oggi, non si può definire superata.
Primo aspetto: si parte dal presupposto – si spera pacifico in un Paese democratico – che non sia in alcun modo accettabile che una persona chiamata a ricoprire un qualsivoglia ruolo nelle istitutizioni rilasci pubblicamente dichiarazioni gravemente lesive delle prerogative non solo della Magistratura, ma anche dell’intero sistema istituzionale. Ciò è inaccettabile, ovviamente, a prescindere dalla specifica provenienza del singolo esponente: in passato anche ex brigatisti hanno trasceso ogni decenza in dichiarazioni intollerabili.
Oggi il vero punto di attenzione, tuttavia, è la reazione che un sistema politico, se sostanzialmente sano, deve saper porre in essere rimanendo sul piano dell’opportunità politica. Una reazione da esercitarsi con la massima compostezza istituzionale, ma non per questo in modo meno rigoroso e determinato. Se infatti l’esponente in questione non compie autonomamente l’unica e sola azione adeguata in questi casi, ovvero non presenta le dimissioni (e ciò, si sa, accade raramente), è responsabilità diretta del suo partito intervenire. Purtroppo, in assenza di una pronta e adeguata azione in tal senso o, ancor peggio, in caso di accondiscendenza e coperture rispetto all’interessato, non si potrà che rilevare quanta strada ancora il partito in questione (FdI) debba percorrere in termini di maturazione democratica e rispetto istituzionale.
Secondo aspetto: di fronte a questa chiara e concreta verifica sul grado di leadership realmente esercitato sulle varie ed eterogenee anime che popolano e costituiscono la propria base di consenso, la Presidente ha dimostrato ancora una volta di non riuscire a prendere le distanze proprio da quella componente che, probabilmente, perfino lei stessa reputa ormai un ostacolo per il suo affrancamento da influenze “squalificanti” e per la sua evoluzione verso una immagine più istituzionale. Anime nere che sono quindi consapevoli del loro attuale potere condizionante e ben decise a non essere relegate a taxi elettorale.
Da tutto questo, ovvero dagli (insufficienti) tentativi dietro le quinte della Premier per salvare sia l’immagine pubblica sia certi tipi di relazioni, ne esce una figura alquanto affannata a tenere il più possibile lontano da sé un problema, invece che risolverlo. Ne esce una figura ammaccata nella propria immagine di condottiera. Ne esce, infine, e questo è quello che dovrebbe più preoccupare qualsiasi cittadino italiano, una Presidente del Consiglio molto meno libera da condizionamenti esterni di quanto lei stessa cerchi di far credere.