Il voto sul Mes ieri alla Camera ha diviso trasversalmente maggioranza e opposizioni, evidenziando affinità politiche non dichiarate, come quelle fra Fratelli d’Italia, Lega e Movimento Cinque Stelle, e altre, come quelle fra i partiti di centro sinistra, ricercate ma non sempre vistesi nei fatti.
Ci può stare che su un tema come il fondo salva-stati, che ha tenuto banco per oltre un decennio probabilmente senza mostrare il lato più attraente dell’Europa, le forze politiche ne abbiano fatto un’occasione per ribadire i loro rispettivi orientamenti ideologici. Purché la bocciatura del Mes non diventi un alibi per distogliere l’attenzione dalle priorità per l’Europa e dalle sfide che attendono il Paese e l’Ue nell’ormai prossimo 2024.
Occorre guardare avanti, non indietro, sia riguardo alla questione Mes che alla riforma del Patto di Stabilità, sulla quale è stata già raggiunta un’intesa di massima attorno alla proposta franco-tedesca.
Un’intesa che vedrà i tempi necessari per la sua ratifica dai parlamentari nazionali coincidere con il periodo di rinnovo degli organismi europei, che inizierà con il voto per il parlamento europeo di giugno. Passibile quindi di ulteriori aggiornamenti determinati sia dai processi politici intraeuropei che dall’evoluzione del quadro generale economico e geopolitico.
Ben sapendo che il sistema che ha governato le politiche di bilancio dell’Europa negli anni dieci, quello del primato delle regole, difficilmente potrà risultare applicabile fino in fondo a questi tempi. Tempi nei quali è soprattutto il manifestarsi delle emergenze, prima fra tutte quella inerente la sicurezza, a dettare i criteri per i bilanci.
La riforma dell’Ue, anche sul versante economico e finanziario, non potrà esser intesa come una mera questione interna, come una tappa pur decisiva di un processo di integrazione europea concepito in modo avulso da quanto avviene nel mondo.
Occorre piuttosto un impegno straordinario e a tutto campo per agire sui fattori che determinano e possono garantire la stabilità europea. E questo è possibile farlo se c’è qualcosa che fa da collante e da motore dell’Europa insieme e oltre i pur legittimi interessi nazionali. E questo qualcosa non può che essere un’idea del ruolo, della missione, dell’Europa in un mondo ormai caratterizzato da un crescente pluralismo dei centri decisionali.
Come ha in più occasioni ricordato Mario Draghi, si deve percepire la pressione dello stato di necessità per fare avanzare riforme improntate al principio di sussidiarietà per conferire al livello comunitario quei compiti che gli stati nazionali non sono più in grado di svolgere adeguatamente rispetto alla dimensione assunta da molti stati extraeuropei. Se non c’è adeguata consapevolezza di questa forte pressione che deriva dal semplice fatto che il mondo corre veloce e non sta certo ad aspettare i tempi dell’Europa, si rischia di non poter uscire dalla spirale dei veti incrociati che paralizzano le iniziative interne ed esterne, e dal labirinto di progetti di piccolo cabotaggio.
È mai possibile, ad esempio, che proprio mentre sul calcio l’Europa dimostra col progetto della Super Lega di essere attrattiva per i club di mezzo mondo, altrettanto non avvenga verso i Paesi della sponda meridionale del Mediterraneo che guardano più ai BRICS che all’Ue?
Il motivo principale di ciò probabilmente consiste nel fatto che fintantoché l’Europa non riesce a chiarire a se stessa quale debba essere il suo ruolo in un mondo molto cambiato, dove tutti rivendicato il proprio diritto allo sviluppo e all’autodeterminazione, nel quadro sancito dalle organizzazioni internazionali che però devono essere di tutti e non di una piccola minoranza dell’umanità, non potrà ambire a attrarre altri o quantomeno a esser considerata un attore globale.
L’Europa, che è attraversata sin dai tempi delle guerre balcaniche e ora più che mai con la guerra in Ucraina, dalle contraddizioni e dalle ferite derivanti dalla mancanza di un accordo riguardante un reciproco riconoscimento fra le potenze di questo secolo e la superpotenza del secolo scorso – senza il quale accordo è bene non illudersi circa la fine della “guerra mondiale a pezzi” – ha la necessità, innanzitutto per la propria sicurezza e per salvaguardare la propria economia, di avanzare una iniziativa su come giungere a una coesistenza pacifica fra i principali sistemi e blocchi in cui si articola il mondo attuale, all’interno della quale si possa giungere anche alla tanto auspicata “pace giusta” per l’Ucraina.
Credo, pertanto, sia auspicabile interpretare inquesto modo il voto sul Mes, in particolare del sì che ha compattato il centro che guarda a sinistra e lo stesso Pd.