Il gioco ardito di Erdogan, per adesso senza intoppi apparenti.

Il discorso tenuto in occasione delle celebrazioni per il centenario della Repubblica turca, tutto orientato contro Israele, ha lasciato di stucco quanti avevano osservato l’evoluzione dei rapporti fra Ankara e Tel Aviv.

C’è davvero da domandarsi se il sempre più complesso scacchiere geopolitico sul quale si sta esercitando con indubbia abilità Recep Tayyip Erdogan alla fine lo travolgerà, e con lui i sogni neo-imperiali di una parte consistente del popolo turco, o se invece produrrà un risultato consistente e, soprattutto, duraturo per le ambizioni ottomane.

Il discorso da lui tenuto in occasione delle celebrazioni per il centenario della Repubblica turca, tutto orientato contro Israele, ha lasciato di stucco quanti avevano osservato con attenzione e interesse l’evoluzione dei rapporti fra Ankara e Tel Aviv negli ultimi anni, indirizzata alla loro progressiva normalizzazione. Una scelta politica che palesemente si proponeva, fra l’altro, di addolcire le relazioni con Washington, da parte sua sempre più perplessa di fronte all’ambiguo rapporto con Mosca, confermato anche nella vicenda ucraina, dello sgusciante alleato e alle sue esibizioni muscolari in Siria, in Libia, in Nagorno Karabach a supporto dell’Azerbaigian e insomma nell’intero quadrante euro-asiatico.

Non solo il tono con le quali sono state pronunciate ma soprattutto le parole utilizzate da Erdogan hanno impressionato, scavando un solco con Israele difficilmente colmabile in pochi lustri: sostenendo che quello è uno Stato “criminale di guerra” mentre al contrario Hamas è composto da “liberatori, non terroristi” Erdogan non solo ha distrutto il suo lavoro precedente teso al riavvicinamento graduale con lo stato ebraico ma ha pure rafforzato le certezze di chi nell’Unione Europea la Turchia non la vuole e soprattutto i dubbi dei suoi alleati militari occidentali, tutti assestati su una posizione di condanna chiara di Hamas a causa del suo obiettivo dichiarato – l’estinzione dello Stato della Stella di David – e non solo per gli omicidi perpetrati il 7 ottobre. Immaginando forse di avere già fatto abbastanza con il suo assenso, arrivato dopo mesi di trattative e ricatti, all’entrata nella NATO di Finlandia e Svezia, ma ponendo invece un macigno a Bruxelles nel quartier generale dell’Alleanza Atlantica.

È indicativo quanto Erdogan ha detto a proposito di Gaza, a conferma del suo sogno imperialista in salsa neo-ottomana: “Gaza era una città ottomana fino a un secolo fa, era una delle nostre città affacciate sul Mediterraneo”. Poi la Palestina è precipitata nel caos a partire dal 1922 con il “mandato britannico” deciso dopo la sconfitta turca nella Grande Guerra: è questo il pensiero consolidato del leader turco. Analogo rimpianto – e implicita rivendicazione per un nuovo ordine mediterraneo – Erdogan espresse a proposito di Tripoli e Misurata, come dire che lì, sia pure in forme nuove, si dovrà tornare.

Una rivendicazione territoriale che si coniuga con quella religiosa. Perché Erdogan è propugnatore di un Islam fortemente impegnato nella politica delle nazioni da esso influenzate, in questo vicino alle posizioni radicali della Fratellanza Musulmana, simile dunque a quello propugnato da movimenti fondamentalisti come Hamas. Una vicinanza che si è tradotta in un sostegno finanziario all’organizzazione terroristica basata a Gaza. Qualcuno sostiene che l’aiuto sia stato pure militare.

Quindi la Turchia compone, con Iran e Qatar, la triade che parteggia esplicitamente per Hamas. Una scelta che secondo logica politica dovrebbe produrre effetti non secondari nelle sue relazioni con i suoi alleati occidentali oltre che con la UE, della quale stando così le cose ben difficilmente diverrà mai partner. Ma proprio per la sua posizione geografica, strategica nel confronto degli Stati Uniti con l’Iran, Washington non taglierà il cordone che attraverso la NATO la lega ad Ankara, la quale ultima è anzi in attesa del via libera del Congresso USA alla vendita dei nuovi modelli di caccia F16 nonostante il vulnus patito qualche anno fa, quando la Turchia comprò dalla Russia il sistema missilistico di difesa aerea S400. Il gioco ardito di Erdogan prosegue, al momento senza intoppi. Durerà?