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lunedì, Marzo 3, 2025
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Il momento della verità per la politica di difesa comune

Senza il riconoscimento, talora doloroso, di alcuni dati di fatto e senza la conoscenza della mutata realtà globale, appare difficile tracciare nel senso giusto una strategia di sicurezza e di difesa europea.

Nel decennio che ha preceduto la brutale invasione russa dell’Ucraina nell’opinione pubblica occidentale ha prevalso il disinteresse, frutto di una non adeguata comprensione della partita che si stava giocando fra Est e Ovest sulla testa di quel martoriato Paese.

Oggi prevalgono ancora narrazioni desuete, di un mondo che si crede vi sia ancora, al posto di uno sforzo di conoscenza della mutata realtà globale. Cambiamento dovuto solo in minima parte alla rielezione di Trump (i cui effetti saranno reversibili, forse), e in larghissima parte invece alla rapida e forte ascesa dei Paesi non occidentali (i cui effetti sono irreversibili).

Cosicché risulta arduo cogliere la linearità, pur in una complessità estrema, di quanto sta succedendo fra Washington, Mosca e Londra. Perché è possibile che la situazione sia più chiara di quanto appaia. Ma ci è difficile vederlo, se non al prezzo di compiere dolorosi riconoscimenti di alcuni dati di fatto.

Uno fra questi è chi conti nel conflitto ucraino. Non Zelensky e non l’Ue, bensì gli Stati Uniti, il Regno Unito e la Russia.

Un altro dato di fatto riguarda in che cosa consista il dialogo fra gli Stati Uniti di Trump e la Russia di Putin. Non solo e non tanto l’Ucraina ma un accordo bilaterale sul quadrante di mondo in cui viviamo: Europa-Mediterraneo-Nord Africa-Medio Oriente. Nella cui definizione l’Ue è assente o esclusa, ma non essendo mai stata un attore politico è normale. Mentre l’esclusione a questo  tavolo del Regno Unito, indiscusso protagonista globale di prim’ordine, significa una cosa sola: che il vero perdente non è l’Ucraina.

Un altro dato di fatto, è l’appiattimento, per non dire la subordinazione dell’Ue, tramite la Francia (perché la Germania continua a dimostrarsi un nano politico), alla visione britannica del conflitto. Fanno molto bene i Paesi europei continentali a partecipare all’odierno vertice a Londra sull’Ucraina, sarebbe ancora meglio se i Paesi membri Ue, anziché portare le loro divisioni, portassero  ciò che li accomuna tutti.

E dunque, un altro dato di fatto è che nell’Ue c’è bisogno soprattutto di mediatori, fra le posizioni opposte di Baltici e Polonia da una parte, e quelle di Ungheria e Slovacchia dall’altra.

Non credo si possa ignorare anche il fatto che alcuni fra i gruppi dirigenti dei maggiori Paesi europei (quelli britannici e quelli francesi in testa) sembrano contagiati dalla sindrome di Netanyahu, dando talora l’impressione di puntare alla continuazione della guerra come soluzione alla loro seria crisi di consenso interno.

Il dato di fatto, difficile da negare e che tanto male ci fa a noi europei, è che il presidente americano ha proposto una soluzione, giusta o sbagliata che sia, a problemi che noi non siamo stati in grado di risolvere nel corso degli anni.

Ma proprio da qui può partire il riscatto dell’Ue. Bisogna che ci si renda conto di non aver capito l’ordine delle minacce, pensando di poter regolare la questione ucraina in modo avulso dalle dinamiche globali. I risultati sono stati disastrosi. L’Ue è stata pesantemente danneggiata sul piano economico, sociale, tecnologico dalle stesse sanzioni che ha imposto. La Russia, europea storicamente e culturalmente, da San Pietroburgo a Vladivostok, è stata spinta non solo ad una alleanza più stretta con la Cina, ma a esercitare un ruolo maggiore, politico ed economico in Asia. Si parla adesso tanto, a ragione, di difesa comune europea ma vi è un’adeguata riflessione su come si sta organizzando il mondo, per definire gli scopi di questa difesa? Perché manca un dibattito approfondito e aperto, fra la gente, sugli obiettivi della politica di sicurezza? Forse, è giunto il momento della verità a proposito delle politiche di difesa europea.

Se non lo si farà, in Italia e nell’Ue con coraggio, con lungimiranza, guardando all’illuminante esempio di alcuni statisti della “prima repubblica”, non ci si deve fare alcuna illusione. Per inerzia i rapporti Europa-Nato torneranno quelli che sono stati – in pochi se lo ricordano – fino all’inizio degli anni novanta: inesistenti e solo bilaterali fra Stati Uniti e ciascuno dei Paesi membri. E in un tale scenario, la politica estera italiana potrebbe tornare ad essere improntata a una stretta amicizia con gli Stati Uniti, con possibili significativi margini di autonomia nelle relazioni internazionali e nelle politiche energetiche, sopperendo a un deficit di Europa. Cosa che, a ben vedere, sta già capitando a proposito del Piano Mattei per l’Africa, ma che non può lasciare soddisfatti chi, come noi, lavora per rafforzare l’Ue e per renderla al più presto capace di agire di fronte al mondo, come esorta a fare Mario Draghi, come se fosse un unico stato.