Il nuovo Fronte popolare e il ritorno del trasformismo.

L’esempio concreto di Renzi e di Conte, al riguardo del trasformismo, è certamente il più plateale, a conferma di uno strisciante malcostume. Le ammucchiate elettorali sono incompatibili con una sana cultura di governo.

Che il futuro “Fronte popolare”, sempre che decolli, rappresenti uno dei momenti più alti della caduta di credibilità della politica, della sua progettualità e dei suoi contenuti non c’è alcun dubbio. Del resto, la logica della sommatoria, dei pallottolieri e dei cartelli elettorali storicamente è la dimostrazione plastica della negazione della politica. Perché, infatti, l’unico filo rosso che lega e cementa questi vari escamotage è l’odio implacabile nei confronti del nemico politico di turno.

Che, di conseguenza, va annientato e distrutto politicamente facendo ricorso a tutti i mezzi a disposizione. Di norma, sono operazioni politiche che non hanno nulla a che fare con la cultura di governo ma sono, e restano, degli strumenti a cui si fa ricorso per distruggere il nemico.

Al riguardo, è appena sufficiente registrare il confronto – si fa per dire, come ovvio – tra alcuni protagonisti di questo “Fronte popolare” per rendersene conto. Renzi e Conte sono i casi più eclatanti. Il capo di un piccolo partito personale, da un lato, e il leader del populismo anti politico e demagogico dall’altro, da anni sono agli antipodi nel circo della politica contemporanea. Eppure, e magicamente, da alcuni giorni dal primo piovono attestati di stima e di sostanziale condivisione politica nei confronti del leader populista mentre dal secondo, in attesa che vengano superati – ma è questione di settimane se non addirittura di giorni – gli ultimi veti personali, si apprezza il profilo del futuro “Fronte popolare” che, unito, può battere il solito nemico alle porte, cioè l’ormai collaudatissima e sempre attuale “deriva fascista”.

Ora, al di là della bontà del progetto di questo nuovo ed inedito “Fronte Popolare”, molto meno serio di quello originario guidato dai comunisti di Palmiro Togliatti nell’aprile del 1948 contro la Dc di Alcide De Gasperi e i partiti alleati occidentali e democratici, è indubbio che nessun nodo politico sul tappeto viene affrontato e risolto perché il tutto si limita a dar vita ad un cartello elettorale per battere un nemico con nessun impegno programmatico e, tanto meno, di governo.

Ma il limite di fondo di queste operazioni, che in Italia periodicamente fanno capolino, è che viene sdoganato e riproposto il trasformismo più sfacciato come regola aurea del comportamento concreto tra i partiti e nei partiti. E proprio l’esempio concreto di Renzi e di Conte, al riguardo, è il più plateale a conferma di questa deriva e di questo strisciante malcostume. E questo perché quando si sommano esperienze, partiti e movimenti che per anni hanno predicato e sbandierato che tra di loro non si sarebbero “mai e poi ancora mai” alleati, l’unica conclusione credibile è quella che ci troviamo di fronte ad un semplice e banale capolavoro di trasformismo ed opportunismo politico. E le prediche settimanali del sempreverde comunista romano Goffredo Bettini sono, al riguardo tra il patetico e il ridicolo. Per la semplice e persin scontata ragione che non si può dare una cornice politica e, men che meno, culturale ad una operazione brutalmente trasformistica e di mero potere.

Perché l’unica cosa certa, come emerge con rara chiarezza dall’ultima intervista di Conte alla “Stampa”, è che le ammucchiate elettorali sono, di fatto, incompatibili con qualsiasi cultura di governo perché non hanno alcuna valenza politica e progettuale comune. Ovvero, si tratta di cartelli elettorali che vengono costruiti per battere un nemico, il più delle volte pianificato a tavolino perché virtuale, ma che poi non sono in grado di dispiegare un programma politico a media/lunga scadenza perché manca quel tassello decisivo per cementare un’alleanza, cioè la cultura di governo.

Per queste semplici ragioni la deriva del trasformismo non può mai rappresentare un tassello qualificante per chi persegue una ‘buona politica’. Semmai, e al contrario, se si vuole ridare credibilità alla politica, serietà ai partiti e, soprattutto, centralità ai programmi, l’unica strada che non si può battere è quella di praticare la scorciatoia del trasformismo e dell’opportunismo.

Perché questi percorsi, purtroppo, segnano la decadenza etica e progettuale della politica oltre ad accrescere e consolidare l’allontanamento dei cittadini dalle urne.