Il Viaggio Apostolico di Francesco a Kinshasa è stato caratterizzato da un messaggio rivoluzionario, tanto da porre la questione di quanto saremo in grado noi fedeli di metterne in pratica le indicazioni più concrete e immediate. Chi avrà la forza di asssumere come propria direttiva di vita questo messaggio potrà osservare come il corso della storia, non solo del Congo o dell’Africa, ma del mondo intero, s’incammini nella direzione irreversibile della novità annunciata dal Salvatore. Papa Francesco ci ha ricordato che dipende da ciascuno di noi realizzare la pace, la comunione, la fraternità, l’amore, per rendere il mondo un cielo già su questa terra. È necessario diventare una comunità nuova, protagonista dell’impegno quotidiano per un mondo migliore.
Il Papa ha ricordato inoltre quanto sia urgente mettere fine alla “guerra mondiale a pezzi”, che da anni insanguina il mondo intero, dando a poche persone l’opportunità di un arricchimento vergognoso. Le parole sono scolpite sulla pietra: pace, riconciliazione, fraternità, comunione e libertà, tutte indirizzate a un’autentica promessa di sviluppo e prosperità. In particolare, Francesco ha invitato i congolesi a lottare contro la violenza e l’odio, a difendere la propria dignità e integrità territoriale, a valorizzare le immense risorse del paese, rifiutando a testa alta la condizione dell’asservimento. Ha poi esortato a lavorare insieme, come fratelli e sorelle di un’unica famiglia, per un avvenire più degno. Egli ha proclamato poi il vivo apprezzamento per il coraggio di coloro che lottano contro la corruzione, pagando un prezzo elevato, fino addirittura al sacrificio della vita.
La grande sfida è condividere con i poveri e aprire il cuore agli altri, anziché chiuderlo a sé stessi. Fermarsi a guardare e ad ascoltare, questo è il fondamento dell’apertura agli altri, specialmente ai più poveri. Ed essere missionari di pace vuol dire portare pace anche a noi stessi. Ci viene chiesto perciò di fare spazio a tutti nel nostro cuore e di credere che le differenze etniche, geografiche, socio-culturali e religiose non sono ostacoli insormontabili. O meglio, non debbono esserlo. È nostro dovere, entro questo orizzonte, spezzare il cerchio della violenza e smontare le trame dell’odio. Come cristiani, siamo chiamati a essere coscienza di pace del mondo, testimoni di amore, fraternità, perdono: dobbiamo farci tutti missionari del folle amore che Dio ha per ogni essere umano.
Costruire la pace e l’amore significa anche decidere come usare le nostre mani. Possiamo usarle per edificare o distruggere, donare o accaparrare, amare o odiare. La scelta è nostra. Il Papa ha voluto ancora suggerire quali siano gli “ingredienti per il futuro”, primo tra tutti la preghiera come viatico per radicarci nell’ascolto della Parola di Dio, crescendo nella fede. La preghiera è “l’acqua dell’anima” che ci aiuta a vincere le resistenze e le difficoltà, a maturare nella consapevolezza dei nostri mezzi e dei nostri limiti, per alzare lo sguardo verso l’alto, ricordandoci che siamo fatti per il cielo. La preghiera ci permette di trasformare l’inquinamento dell’anima in ossigeno vitale, così da sperimentare il conforto della forza di pace, ovvero la forza dello Spirito Santo.
Infine, alle cinquemila persone consacrate, tra cui cardinali, vescovi, preti e religiosi, il Papa ha fatto memoria del servizio cui sono stati chiamati da Dio, per essere testimoni dell’amore e per dedicare l’intera esistenza al servizio dei poveri e dei bisognosi. Gesù deve essere al centro delle loro vite, per servire il popolo in quanto testimoni dell’amore di Dio ed evitare altresì la mediocrità spirituale, il comfort mondano e la superficialità. Occorre allora che sacerdoti e religiosi siano preparati, ma soprattutto appassionati del Vangelo. Riflettere sulla bellezza di una vita dedicata a Dio è la maniera più delicata e convincente per trasmettere il senso della propria fede, sapendo che la testimonianza vale più della sapienza, specialmente agli occhi dei più giovani.
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