Mentre il ciclone Trump investe il mondo con la sua furia distruttrice del vecchio ordine globale e minaccia le fondamenta stesse della democrazia statunitense è lecito domandarsi – anche solo per legittima curiosità – cosa stanno facendo i democratici americani, intesi come Partito Democratico, per reagire ad una sconfitta che rischia di demolirli per gli anni a venire,
E la risposta è semplice, e non soddisfacente per chi spera nella possibilità che fra quattro anni vi possa essere un cambio della guida a Washington. Perché quello che Trump, Musk e Vance stanno indicando è un totale capovolgimento della tradizionale politica Usa, tale da indirizzarla per i prossimi lustri al di là della persona dell’attuale Presidente.
I Dem stanno cercando, ancora intontiti dalla tremenda botta ricevuta, di riorganizzarsi serrando le fila, con l’obiettivo di vincere quanto più possibile nelle elezioni di mid term del 2026. “Possiamo fare – scrivono nelle loro mail indirizzate ai militanti – due cose: mobilitarci e organizzarci contro Trump e le dannose politiche dei suoi alleati miliardari; costruire l’infrastruttura necessaria per eleggere democratici a tutti i livelli di governo per controllare il potere di Trump nelle città, nei distretti, negli stati”. Questa è la “mission”, e per conseguirla servono finanziamenti, richiesti in piccole cifre, dai 3 dollari in su, ai sostenitori simpatizzanti. E Kamala Harris prosegue lei pure, col suo Harris Fight Fund, a chiedere contributi per il partito onde non dare l’idea di aver abbandonato la lotta.
Un obiettivo nobile e comprensibile. Ma insufficiente e difficilmente raggiungibile se non si è disponibili a riflettere sul perché si è perso. Questo è quanto la leadership democratica non ha ancora iniziato a fare. E il dubbio è che non voglia cimentarsi nell’impresa in quanto ben consapevole dei propri errori, talmente gravi da imporne la sostituzione con una nuova generazione di dirigenti.
Inoltre, la natura di quegli errori rivela il dominio avuto negli anni dalla componente più liberal a danno di quella più moderata, che era riuscita a esprimere Biden ma che poi aveva ceduto alla componente più aggressiva sui media, sui nuovi social media e, come da tradizione, presso il “bel mondo” artistico e intellettuale tanto osannato da cerchie ristrette preminenti sulle coste oceaniche quanto detestato dall’America più profonda. Che dunque ha seguito l’urlo di ribellione lanciato dal MAGA trumpiano. È di questo, è su questo che i democratici americani dovrebbero discutere, anche accesamente se necessario. Una riflessione profonda si impone.