Il premierato della Meloni può generare conflitti tra potere e responsabilità

Non si capisce perché un testo di riforma costituzionale non debba nascere già in partenza da uno sforzo comune in Parlamento, anziché da una volontà di matrice solo ed esclusivamente governativa.

Secondo le ultime indiscrezioni pare che il testo sul premierato in corso di esame presso il Governo comprenda cinque articoli.

Con il primo si eliminerebbero i senatori a vita, resterebbero solo come componenti non elettivi gli ex Presidenti della Repubblica. La soluzione puntuale adottata è difendibile, ma non sembra affatto essere una priorità, considerando soprattutto che il testo non affronta invece le obiettive priorità per rendere l’ordinamento più simile alle altre democrazie parlamentari: una sola Camera che dia la fiducia, il rapporto fiduciario col solo Premier, l’inserimento della proposta di revoca dei ministri, la proposta di scioglimento in caso di sconfitta sulla fiducia. Ossia non si riconoscono al Premier elettivo un insieme ragionevole di poteri che sono assegnati ai Presidenti del Consiglio non elettivi. Un’evidente incoerenza, una scissione tra potere e responsabilità, che crea le premesse per gravi conflitti istituzionali. Sembra quasi che ci si attenda che in forza della sola elezione diretta il Premier possa impadronirsi di fatto di poteri che non gli sono invece attribuiti di diritto.

L’articolo 2 eliminerebbe la possibilità di sciogliere una sola Camera, che è sempre stato un caso di scuola dal 1963 (da quando se ne equiparò la durata), ma a questo punto a che fine tenere due Camere che danno la fiducia?

L’articolo 3 inserirebbe un’elezione diretta del Premier agganciata alla scelta di una maggioranza e costituzionalizzerebbe un premio del 55 per cento dei seggi, senza però costituzionalizzare anche una soglia minima per la sua assegnazione, come richiesto dalla Corte costituzionale, lasciando i dettagli alla legge ordinaria. Qualora si ritenga ragionevole, ed è una delle soluzioni possibili, questa scelta di predeterminare un numero di seggi abbastanza distante dai quorum di garanzia, non si può non costituzionalizzare anche nel contempo una soglia minima in voti, altrimenti vi è un rischio di squilibrio. 

Strano Paese quello in cui per i sindaci occorre il cinquanta per cento dei voti più uno per avere il premio e invece per il Premier non ci sarebbe alcun vincolo costituzionale, ma solo una scelta discrezionale del legislatore. È peraltro quanto mai dubbio che anche questa formulazione posta in Costituzione possa evitare una declaratoria di incostituzionalità della Corte per l’assenza della soglia.

L’articolo 4 prevederebbe anzitutto per il Governo espresso dal Primo Ministro neo-eletto un doppio passaggio parlamentare di fiducia iniziale; in caso di doppio esito negativo, altamente improbabile vista la maggioranza garantita, si andrebbe al voto anticipato. In tutti casi di cessazione del Primo Ministro dalla carica ci potrebbe essere, in alternativa allo scioglimento, un secondo Governo guidato da un parlamentare della maggioranza elettorale che si presenterebbe alle Camere ma solo per proseguire il programma precedente. Si è qui evitata la rigidità prospettata in precedenza di una continuità della medesima maggioranza, tuttavia il parametro della continuità di programma appare alquanto evanescente. 

Che significa ad anni di distanza la continuità di programma? Qui però il nodo è a monte: se si sceglie un’elezione formalmente diretta si è poi costretti a trovare forme più o meno rigide e confuse, mentre invece un’inidicazione che non fosse un’elezione diretta consentirebbe una flessibilità ragionevole, come la richiesta dell’elezione parlamentare di un nuovo Premier a maggioranza assoluta dei component per evitare lo scioglimento.

L’articolo 5 prevederebbe l’entrata in vigore con le prossime elezioni.

In conclusione non si capisce perché non si sia adottato un modello molto più semplice: una legge elettorale a dominante maggioritaria, anche costituzionalizzandone il principio insieme ad una soglia in voti per ottenerlo, e, al di sopra di esso, la semplice trasposizione delle norme costituzionali tedesche.

Per di più non si capisce perché un testo non debba nascere già in partenza da uno sforzo comune in Parlamento, anziché da una volontà di matrice solo ed esclusivamente governativa, esattamente come accadde a quello bocciato nel 2005-2006.

 

Stefano Ceccanti, costituzionalista, è stato parlamentare del Partito democratico. 

[Il testo qui proposto appare sul sito dell’autore]