Politica contro terrorismo per non cadere nella trappola di Hamas

La polarizzazione porta a una transizione geopolitica non pacifica. Il monito di de Villepin - militarismo, occidentalismo e moralismo sono le trappole di Hamas - dà tanti spunti per politiche di centro.

A poco meno di un mese dalla esecrabile strage compiuta da Hamas sui civili israeliani, e dalla prevedibile risposta israeliana con conseguenze inenarrabili sulla popolazione della Striscia di Gaza, sembra esservi per ora un solo vincitore. Quello costituito dal partito degli opposti estremismi (di varia natura, politici, economici, religiosi) che strumentalizza le ragioni di due popoli con uguale diritto all’esistenza per obiettivi che li trascendono, in una partita a cerchi concentrici, nella quale la contesa tra palestinesi e israeliani e quella per gli equilibri del Medio Oriente si inseriscono nel quadro di una più ampia mancanza di accordo su una nuova governance globale.

Il concreto obiettivo che perseguono i vari, e talvolta insospettabili, finanziatori di Hamas è quello di impedire in ogni modo un accordo di pace tra Israele e Palestina che farebbe da modello a un accordo globale incentrato sul ritorno al principio ottocentesco dell’equilibrio delle potenze ma in chiave multipolare, preferendo ad esso una guerra che, come da un decennio ci ricorda Papa Francesco, è già divenuta mondiale e rischia di proseguire per decenni.

In questa prospettiva ci invita a guardare anche Dominique de Villepin, ex primo ministro e ministro degli esteri di Chirac, che si conferma per la lucidità dei suoi giudizi, una sorta di Kissinger europeo. Nella sua ultima intervista al canale BFMTV dello scorso 27 ottobre de Villepin ha messo in guardia l’Occidente dal non cadere in quella che ha definito una “triplice trappola” preparata da Hamas. 

La prima trappola è quella di aver innescato una spirale di militarismo, avendo sferrato il 7 ottobre un attacco volto a produrre il massimo orrore in modo da spingere Israele a una reazione oltremisura e ottenere che tutto il mondo vedesse le conseguenze umanitarie su Gaza della risposta di Israele.

La seconda trappola di Hamas, ha avvertito de Villepin, è “quella dell’occidentalismo”. Mira a fare scattare “l’idea che l’Occidente, che per cinque secoli ha gestito gli affari del mondo, potrà continuare a farlo”. Ma visto che il mondo attuale è nei fatti già divenuto multipolare, significa fare cadere l’Occidente nell’illusione di credersi ciò che non è più, in modo che scelga le risposte sbagliate da dare.

Infine, la terza trappola di Hamas denunciata dal politico francese che al Consiglio di Sicurezza ONU si oppose all’invasione americana dell’Iraq, è quella del moralismo. Far fare all’Occidente un massiccio esercizio di doppio standard, che è una delle cose più invise agli occhi del resto del mondo, nella valutazione di situazioni simili, che si tratti di guerre o di diritti umani, in modo da far perdere ulteriore credito alle sue posizioni.

In una parola Hamas persegue la strategia della polarizzazione globale, dello sconto di civiltà. Un obiettivo che rischia di tentare anche quelle frange estremiste occidentali, purtroppo non solo nella destra estrema, ostili al multipolarismo, che accarezzano l’idea che ormai sia rimasta solo la guerra per prolungare la plurisecolare egemonia occidentale su un mondo che va verso un policentrismo politico, economico e culturale.

La sfida, dunque, appare quella di non fare il gioco di Hamas nonostante l’effetto di polarizzazione sconfinante nella tifoseria sia stato già ampiamente ottenuto nell’opinione pubblica. Rilanciando la consapevolezza che non sarà l’uso massiccio e indiscriminato delle armi a produrre la pace e a garantire la sicurezza, ma solo un cessate il fuoco che è urgente e propedeutico al rilancio della soluzione a due stati. E che occorre operare per ridurre le tensioni e gli altri fronti di guerra nel mondo e non isolarci da nessuno sulla scena internazionale, nemmeno dalla Russia, come invita a fare lo stesso De Villepin, perché in ultima analisi non sono che fronti diversi di una medesima guerra globale “a pezzi”. Alla base di quasi tutti i conflitti in corso, dal Sudan, all’Etiopia, all’Ucraina vi è il nodo irrisolto di un risconoscimento reciprocamente soddisfacente fra le potenze di questo secolo.

Di fronte a una destra che anche nel nostro Paese ha ripreso a cavalcare irresponsabilmente il tema dello scontro di civiltà, cosa che fra l’altro stride con le posizioni molto misurate del presidente del Consiglio Meloni, di ministri come Tajani e Corsetto, il centro, soprattutto quello di matrice popolare, ha la possibilità, come in parte sta già facendo, di introdurre nel dibattito politico un contributo di equilibrio e di lungimiranza per un futuro che vogliamo diametralmente opposto a quello per cui lavorano le centrali del terrorismo come Hamas, e i nemici del multipolarismo ovunque essi si collochino.