Le riforme istituzionali esigono il rispetto di principi e valori fondamentali

Il cattolicesimo politico ha sempre avuto alcuni punti fermi: la centralità del Parlamento, il bilanciamento dei poteri, il ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica, la stabilità dei governi, la cultura delle alleanze.

C’è un antico monito di Carlo Donat-Cattin che, quando si parla di riforme istituzionali – e, soprattutto, costituzionali – conserva una straordinaria attualità e modrernità. Ovvero, diceva il vecchio Donat, “per capire cosa pensa un partito delle riforme istituzionali, è appena sufficiente verificare come quel partito pratica la democrazia al suo interno”. Una osservazione semplice ma inattaccabile. Del resto, è l’esperienza storica che conferma quell’assunto. Quando, cioè, prevalgono partiti personali, partiti del capo, partiti del leader o partiti proprietari, diventa francamente difficile, se non addirittura impossibile, pensare che possono decollare riforme autenticamente democratiche, profondamente rispettose delle indicazioni costituzionali e delle scelte del cittadino/elettore.

Ora, al di là della legittima propaganda – ma che tale resta – della sinistra massimalista e radicale della Schlein e dei populisti dei 5 stelle, è indubbio che su questo versante la politica, le culture politiche i partiti si giocano ciò che resta della loro credibilità. Dc la proposta e il progetto sul profilo e sulla natura delle istituzioni democratiche, checchè se ne dica, rappresentano pur sempre un tassello importante, se non essenziale, della carta di identità di un partito. E proprio la cultura popolare e cattolico democratica, su questo versante, non può essere ambigua o reticente. Infatti, sulla forma e la concezione della democrazia si è storicamente contraddistinta la visione dei cristiani impegnati in politica. Attorno ad alcuni caposaldi costitutivi: e cioè, democrazia rappresentativa, centralità del Parlamento, bilanciamento dei poteri, ruolo di garanzia del Presidente della repubblica, stabilità dei governi, cultura delle alleanze e pieno riconoscimento del pluralismo. Principi cardini che, come ovvio, non sono dogmi infallibili e che vanno governati e spalmati nelle singole fasi storiche attraverso il ruolo della politica e la concreta azione dei partiti. Certo, si tratta di perni attorno ai quali ruota la concezione dello Stato, il profilo della democrazia e il ruolo delle istituzioni. Il tutto, com’è altrettanto evidente, se vogliamo essere coerenti con la cultura e la tradizione popolare, si deve coniugare con il sistema elettorale proporzionale che era, e resta, lo strumento decisivo per garantire la personalità dei singoli partiti e delle rispettive culture politiche e, al contempo, per garantire sino in fondo la natura plurale del nostro sistema politico.

Ecco perché, al di là della propaganda spicciola e demagogica, sulla riforma delle istituzioni tutto si tiene. Ovvero, servono partiti democratici e collegiali, istituzioni che non vengono affidate all’uomo della provvidenza di turno, garanzia di indipendenza per i singoli poteri ed evitare, infine, plebiscitarismi di ogni genere che sono sempre, come si ricordava nella prima repubblica, l’anticamera di una ‘torsione autoritaria’ del sistema democratico. Ma il tutto si può fare, e si deve fare, se abbiamo anche partiti che praticano seriamente, senza solo predicarlo, la democrazia al proprio interno. Come, appunto, ricordava Donat-Cattin alla fine degli anni ‘80 all’interno del “partito italiano” per eccellenza, la Democrazia Cristiana.