Il premierato nella versione Meloni complica la governabilità del Paese

L’elezione diretta del premier è destinata a irrigidire il sistema. Per altro, ridurrebbe il peso istituzionale del Presidente della Repubblica.. Come ha osservato Prodi, per assicurare stabilità basterebbe una buona legge elettorale.

Occorre superare un equivoco generato dalla ingannevole asserzione che sono gli italiani a dover decidere da chi essere governati per assicurare la governabilità. L’elezione diretta del premier invece non assicura la stabilità del governo – anzi la complica – perché la si lega ad una sola persona togliendo spazio decisionale e di manovra al Presidente della Repubblica e alla libera sovranità parlamentare.

A supporto della riforma vengono citati come paragone paesi come gli USA e la Francia ma a sproposito per due motivi. Il primo è che mai come oggi constatiamo evidenti limiti di governabilità perché Macron è uscito dalle elezioni traballante mentre Biden fatica a gestire il paese con un parlamento dilaniato e diviso dal prepotente populismo di Trump. Secondo motivo è che sono storie, culture e sistemi di paesi incomparabili con noi ed è giusto e saggio che ognuno aggiorni il proprio sistema sulle fondamenta della propria ispirazione costituzionale.

Vi sono poi i paesi delle cosiddette “democrazie illiberali” (vedasi Ungheria), formula che maschera limiti alla libertà personale dei cittadini in cambio di un ipotetico maggiore ordine, ma si spera che non vogliamo essere cosi ubriachi da scegliere questa via. La governabilità di un paese, se legata ad una persona, toglie la possibilità di valutare se il ricorso ad elezioni sia opportuna in situazioni di particolari emergenze per il paese che possono essere economiche, sanitarie, di guerre e altri motivi. Se poi addirittura il candidato premier è leader di un partito saldamente nelle sue mani, il rischio di un cortocircuito fra interesse personale elettorale e quello del paese è del tutto evidente.

Il premierato rischia di produrre situazioni di stallo. Come recita l’articolo 1 della Carta la sovranità certamente appartiene al popolo che la esercita nella forma e nei limiti ivi prescritti, ergo i nostri governi sono sempre stati pienamente rispettosi della volontà del paese. Secondo poi la logica perseguita della riforma voluta dalla Presidente del Consiglio Meloni ed alleati, non dovremmo mai piu’ ricorrere a governi tecnici (cosiddetti ribaltoni), ovvero se cosi fosse già stato non avremmo potuto avere ad esempio il governo Draghi, che invece si è rivelato provvidenziale in un momento grave. I governi tecnici in particolare momenti di impasse sono invece utili, anzi necessari, se affidati a persone autorevoli per capacità e prestigio. Se poi c’è una istituzione che in questi decenni di strampalerie populiste ha tenuto in piedi la Repubblica è la Presidenza a cui tanto dobbiamo e che dobbiamo tenerci stretta. In caso di crisi il rischio è che la maggioranza uscente decida se ricorrere o meno alle elezioni in base a criteri di convenienza elettorale e di potere mentre invece il Presidente della Repubblica quale figura super partes valuta e propone in base alla necessità del paese in quel determinato momento (come è avvenuto).

L’elezione diretta del premier inevitabilmente ridurrebbe il peso istituzionale del Presidente, è ovviamente…ovvio.  Si possono fare altre riforme per garantire stabilità e velocità, si può introdurre la sfiducia costruttiva e ragionare sul cancellierato tedesco, che è un sistema vicino alla nostra storia. Si potrebbe anche ragionare sull’opportunità di superare il bicameralismo perfetto stabilendo compiti ed iter diversi fra le due camere. Come ha osservato Romano, Prodi per assicurare stabilità basterebbe una buona legge elettorale. La riforma inoltre contempla l’eliminazione dei Senatori a vita per meriti particolari, non potremmo quindi più annoverare nel nostra camera alta personalità che aggiungono qualità e prestigio.

Se la proposta è figlia di conto economico si ragioni sui compensi, se è figlia della logica di avere un parlamento senza persone “libere” allora proprio no. Una vera riforma sarebbe quella che i partiti fossero autenticamente democratici e non in mano a poche persone, e che quindi i candidati alle elezioni fossero persone di qualità e non solo scelti e garantiti per fedeltà (meglio evitare poi i gruppi familiari) indefessa al capo. Così quindi meglio un chiaro No.