Il profeta Neemia di fronte alla sofferenza del suo popolo

Tornati dall’esilio babilonese, gli israeliti dovettero affrontare i problemi della ricostruzione di Gerusalemme e della sua comunità. Di seguito la parte finale dell’articolo offerto alla libera lettura dalla rivista “Aggiornamenti sociali”.

[…] La prima cosa che Neemia ci ricorda è la necessità di sentirsi toccati e interpellati personalmente dalle storture del proprio tempo. Come Mosè: un giorno avvertì la chiamata a condividere la compassione di Dio nei confronti del suo popolo, sottoposto al giogo della schiavitù (cfr Teani 2018, 330-333). Senza un tale appassionato coinvolgimento, avrebbe continuato a pascolare il gregge di suo suocero, rassegnato a muoversi su corti orizzonti. Anche oggi risulta determinante percepire l’appello di Dio nel cuore degli appelli dell’umanità sofferente.

L’esplorazione della città da parte di Neemia evidenzia l’importanza di condurre un’analisi onesta della realtà, senza lasciarsi trasportare da facili entusiasmi (cosciente dei rischi dell’operazione, agisce con prudenza, di notte) e senza sottostare a timori paralizzanti, mostrando anzi grande forza d’animo, nonostante i reiterati tentativi di intimidirlo (cfr Neemia 6,9.13.19). «La prima virtù necessaria per affrontare seriamente il futuro è l’onestà intellettuale. Romano Guardini la chiamava “la serietà imposta dalla verità”, una serietà che vuole sapere la posta realmente in gioco, al di là delle semplificazioni e di tutte le proposte emotive; l’onestà di chi vuole conoscere a fondo le cose. Onestà intellettuale su tutti i problemi in gioco, onestà intellettuale che deve poi divenire metodo di vita, di ricerca» (Martini 1986, 126).

L’onestà intellettuale però non basta. Deve essere accompagnata da una fiducia granitica nel bene, che prende la forma della certezza che Dio ascolta il grido dei poveri per chi crede (Neemia 1,6.11). È quanto riconosce Giuditta, rivolgendosi al Signore in un tempo di grave minaccia per Israele: Tu sei il Dio degli umili, sei il soccorritore dei piccoli, il rifugio dei deboli, il protettore degli sfiduciati, il salvatore dei disperati (Giuditta 9,11). Né Giuditta, né Neemia si aspettano da Dio interventi spettacolari o soluzioni prodigiose. Chiedono la forza per affrontare con lucidità e tenacia la grave congiuntura in cui si trovano a vivere.

La presa di coscienza dei problemi in gioco e delle difficoltà da affrontare, unitamente alla fiducia incrollabile nel sostegno dall’alto, permettono di trasmettere ai propri contemporanei una parola di incoraggiamento e di speranza, convinta e potenzialmente convincente: «Il termine “con-vinzione” dice proprio che si tratta di una vittoria su tutti i messaggi negativi che attraversano un’esistenza: vittoria che, come suggerisce la parola “con-vinzione”, necessita del concorso di altre persone, ma vittoria anche che nessun altro può ottenere al mio posto» (Théobald 2010, 17).

Neemia è cosciente che il progetto di riedificare le mura di Gerusalemme non può rimanere generico. Sa che la fede «non si identifica con il fideismo, che, per esprimere la fiducia in Dio, vorrebbe la rinuncia ai mezzi umani che sono a nostra disposizione» (Bovati 2013, 80). Per questo prende precisi provvedimenti per organizzare i lavori in modo insieme flessibile e determinato. Emerge qui l’importanza della concretezza. Ne parlò il cardinal Martini in una meditazione tenuta nel dicembre 1984: «È la capacità di intuire ciò che va fatto adesso e qui; è la sfiducia per i discorsi astratti e inconcludenti; è il senso delle persone, dei rapporti, del momento presente. Questa riflessione ci porta a concludere che non esiste bene nel mondo se non è concreto, perché concretezza è attenzione al massimo grado di bene effettuabile, con amore, in una data situazione» (Martini 2018, 408). Molti anni dopo, al convegno Fede e cultura, tenuto a Milano nel maggio 2006, Martini, rifacendosi a Giuseppe Lazzati, si chiese: «[I cristiani] sanno uscire da un semplice entusiasmo per i valori, a una fatica nel tradurre questi valori in un contesto democratico, cercando il bene comune possibile in questo momento?» (cit. in Vergottini 2015, 71). L’impegno per promuovere i valori in un contesto democratico è autentico quando si incarna in direttive concrete. Non basta desiderare il bene; si deve capire come attuarlo. Occorre la sapienza pratica e capillare, che aiuti a individuare piste concretamente percorribili. Di fronte a problemi ardui, non ci sono soluzioni facili. Si pensi all’accoglienza dei profughi, alla piaga della tossicodipendenza, alla solitudine degli anziani, al disagio giovanile.

Un ultimo rilievo. Neemia si premura di coinvolgere gli abitanti nella difesa di Gerusalemme, dotando ciascuno dell’equipaggiamento necessario per respingere gli attacchi nemici. Questa decisione sgombra il campo da ingenue letture del reale. Da un lato, evidenzia che il buon esito di un’iniziativa non può dipendere unicamente dall’impegno di chi l’ha promossa, ma è essenziale che sia fatta propria anche da altri. Dall’altro, ricorda che anche oggi è in atto una lotta contro temibili forze, che cercano di ostacolare ogni tentativo di rinnovamento, servendosi, in particolare, dell’uso spregiudicato di messaggi ingannevoli. Come condurre tale lotta? Chi sono i veri nemici da combattere?

 

Fonte: Aggiornamenti Sociali, febbraio 2024.

Titolo originale: Ricostruire la comunità.

 

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