Marco Omizzolo, sociologo, docente e ricercatore dell’Eurispes, che da anni studia il fenomeno dello sfruttamento del lavoro in agricoltura (documentando, tra l’altro, la condizione spesso di ultime fra gli ultimi, al di là dell’immaginabile, delle donne, spose dei braccianti indiani nei nostri campi, talvolta senza avere al fianco movimenti e partiti, impegnati in ben altre battaglie per ben altri diritti) ieri sui suoi profili sulle reti sociali si è lamentato del fatto che i grandi giornali, nella fattispecie il Corriere della Sera, presentino solo ora e quasi come uno scoop, il fenomeno criminale, da anni tristemente noto, del doping ai braccianti per essere sfruttati di più, accrescendo la loro resistenza alla fatica.
Fenomeno su cui, per limitarsi a parlare di questo studioso, Omizzolo ha dato un contributo a partire dal 2014, redigendo il dossier “Doparsi per lavorare come schiavi”, e pubblicando diversi libri, decine di articoli, saggi e ricerche scientifiche sull’argomento. Molti articoli si trovano online in particolare sul Magazine dell’Eurispes.
A mio modesto parere, questo è un episodio indicativo del fatto che dall’opinione pubblica è quasi del tutto scomparso il tema di una più equa distribuzione della ricchezza nella catena del valore delle filiere produttive. Abbiamo lasciato che la società (le società occidentali) si spaccasse in due a causa del divario tra lavoro tutelato e lavoro povero – non solo in agricoltura ma in tutti i lavori, compresi quelli intellettuali – caratterizzato da bassi salari, insufficienti al mantenimento del lavoratore e della propria famiglia (in contrasto con quanto sancisce la Costituzione, art.36).
Una delle piste per fronteggiare la crisi della democrazia è anche quella di elaborare un nuovo riformismo e un nuovo interclassismo, se si vuole affrontare, nel caso della nostra area politica e del movimento “Tempi Nuovi”, con una cultura di centro e con l’ispirazione all’Insegnamento sociale della Chiesa, la nuova questione sociale che abbiamo di fronte e che rischia di essere aggravata dalla diffusione dell’intelligenza artificiale, oltreché da una globalizzazione che non ha ancora generato tutele sufficienti per i lavoratori in ogni angolo del mondo.
Qualcosa però si sta muovendo in Italia. Si pensi, ad esempio, alle diverse inchieste giornalistiche e giudiziarie sulla filiera degli articoli di lusso, in cui emerge la tendenza alla esasperata ricerca della minore retribuzione possibile per gli addetti alla produzione. Il ruolo della magistratura, tuttavia, è sempre supplente. Occorre affrontare in sede culturale, politica, sindacale il problema di una più equa ripartizione della ricchezza creata. Con equilibrio, gradualità e concretezza. E con approccio interclassista che ci fa credere che una comunità dove tutti possono coltivare la speranza concreta e tangibile di stare, almeno, meno peggio, è una società in cui tutti staranno meglio.