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lunedì, 2 Giugno, 2025
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Il volto sfigurato della guerra: la speranza di Adam a Gaza

La storia di Adam, sopravvissuto al massacro di Gaza, ci obbliga a guardare in faccia la guerra. Un grido di dolore e speranza, nel nome dei bambini senza voce.

Le notizie da Gaza, ormai da mesi, si ripetono come un’eco cupa e incessante: bombardamenti, blackout, ospedali al collasso. Numeri, bollettini, percentuali. Ma dietro ogni cifra si nasconde una storia. Una madre, un padre, dei figli. Vite spezzate che raramente trovano spazio nei titoli. La storia di Adam, però, riesce a farsi largo nel rumore. Non per i numeri che porta con sé, ma per ciò che rappresenta: una ferita aperta e, allo stesso tempo, una scintilla di speranza.

Una casa colpita, una madre in salvo

Adam è un bambino palestinese. Viveva a Gaza in una casa piena di amore e confusione infantile: nove fratelli, un padre, e una madre che, nonostante tutto, cercavano di proteggere la loro famiglia dal caos che fuori minacciava ogni giorno. Lei, medico in un ospedale della Striscia, proprio quel giorno era al lavoro. Una missione, la sua, che le ha salvato la vita, ma l’ha resa testimone di una perdita devastante.

Una bomba ha colpito la loro abitazione. Senza preavviso, senza scampo. In pochi istanti, nove bambini sono stati inghiottiti dalle macerie. Il padre è sopravvissuto, ma gravemente ferito. Adam, miracolosamente, è ancora vivo. Ma il suo corpo racconta l’inferno: ustioni su oltre il 60% della pelle, lesioni profonde, dolori insopportabili. Ha perso tutto. Ma non la vita.

Un nome, un simbolo

Oggi Adam rappresenta qualcosa di più di sé stesso. Il suo nome, nelle tradizioni abramitiche, significa “uomo” o “terra”. Adam è il primo uomo, il punto d’inizio. E questo piccolo Adam, sopravvissuto a una tragedia immane, è diventato simbolo di ciò che Gaza potrebbe essere: non solo un luogo di morte, ma anche un possibile seme di rinascita.

L’obiettivo ora è portarlo in Italia, per garantirgli cure adeguate, lontano dalla guerra, dal rumore delle esplosioni, dalle notti senza luce e senza pace. Lontano da un’infanzia che gli è stata rubata troppo presto.

Guardare la guerra negli occhi

La storia di Adam non è solo la cronaca di una tragedia. È uno specchio. Ci costringe a guardare in faccia la realtà della guerra, a spogliarla della retorica e delle strategie geopolitiche. A riconoscerla per quello che è: un disastro umano. Un orrore che si accanisce soprattutto sugli innocenti.

Guardare Adam significa guardare la guerra negli occhi. E decidere, finalmente, di non distogliere lo sguardo.

Perché la speranza, anche quando brucia sotto le macerie, può ancora sopravvivere. Perché ogni bambino ha diritto a un futuro. E perché ogni guerra ci chiede di scegliere: voltare le spalle o provare, una volta per tutte, a costruire la pace.