“Quante gocce di rugiada intorno a me, cerco il sole, ma non c’è. Dorme ancora la campagna, forse no. E’ sveglia, mi guarda, non so.” Con questo inizio, comincia la storia, il racconto del rock progressivo italiano. Era il 1971 e la Premiata Forneria Marconi (PFM) traccia il capitolo di un “epoca di cambiamento” o meglio come dice oggi Papa Francesco è “il cambiamento di un’epoca”.
Giulio Rapetti Mogol, Mauro Pagani e Franco Mussida consegnano alle nuove generazioni un’opera artistica senza tempo, senza limiti né confini ma solo luce e speranza. Testo e molteplici note che con l’introduzione del “ritornello suonato” e del moog sembrano rievocare l’attualità canora di quegli anni “ribelli” e “riflessivi” da figli dei fiori dei Jethro Tull, dei King Crimson e degli Yes. La voce onirica di Franz Di Cioccio ci accompagna nella modernità dell’incertezza di ieri ma che rende attuale il costume e la società che stiamo vivendo. “Cerco il sole, ma non c’è”. Cercare la luce, la speranza, il riscatto. È alba, è mattino, è “il nuovo inizio che ricomincia”.
La campagna è la finestra sul Mondo, ci guarda, è sveglia, è vigile e attenta alla nostra instabilità e non conoscenza. “Già l’odore della terra, odor di grano. Sale adagio verso me. E la vita nel mio petto batte piano. Respiro la nebbia, penso a te”. La terra, la natura, il “circostante” ha un suo profumo, una sua vitalità. Si respira la nebbia, le sofferenze dell’essere e di un momento storico degli anni ’70 che rende attuale oggi 2023 ogni fatto: guerre, povertà, crisi climatica, violenza sulle donne, questioni sociali, disoccupazione e il disorientamento della persona. “Quanto verde tutto intorno e ancor più in là. Sembra quasi un mare l’erba. E leggero il mio pensiero vola e va, ho quasi paura che si perda”. La profonda argomentazione del verde, dell’ambiente che è unico con il mare, da prenderne le somiglianze, è la visione rock – umanistica – dei PFM il cui pensiero, parola, azione, si dissolve nella grandezza dell’umanità, ovvero dell’umano e della sua attualissima “ecologia integrale” che si riflette in essa.
L’urlo graffiante del vocalist coniugato dall’intercedere del colpo di batteria si infiamma nel suo disorientamento esistenziale “No, cosa sono? Adesso non lo so. Sono un uomo, un uomo in cerca di stesso. No, cosa sono? Adesso non lo so. Sono solo, solo il suono del mio passo”. È un poetico appello nel quale l’uomo o meglio la persona si agita, si scompone, si confonde tra allegoria, scienza e realtà sociale, politica ed ambientale verso un nuovo cammino, sentiero, strada e non “sotterranei dell’anima” (ctz Aldo Carotenuto). La consapevolezza di essere “uomo – umano” ma anche “solo – solitudine” tra la condizione dell’impotenza della persona e l’isolamento sociale rende il pensiero libero e spicca il volo in una passione creativa e generativa. Ma l’essere in comunione con il verde, con la natura, con la nebbia, con l’erba, con gli animali e con il Mondo non rende soli, si e’ connessi gli uni con gli altri, si è in “connessigrafia umana” in una comunità inclusiva.
Ecco il sole, il sogno, il riscatto, la partecipazione attiva, l’umanesimo dell’impegno che ci ha insegnato Jacques Maritain. “Ma intanto il sole tra la nebbia filtra già. Il giorno come sempre sarà”. È un nuovo inizio, senza mai più immobilismo ma solo entusiasmo per un Mondo che non ha scarti sociali ma unicità in ogni persona tra le persone unite per un nuovo modello solidale di sviluppo e di futuro.