India al voto in un clima di crescente nazionalismo

Il Paese è destinato a divenire uno dei principali player mondiali e a tal fine Modi, il primo ministro, si è mosso con qualche ambiguità nel complicato ginepraio della nuova geopolitica.

È iniziata la maratona che in poco meno di due mesi condurrà quasi un miliardo di elettori al voto per il rinnovo della Lok Sabha, la Camera bassa del Parlamento indiano, che consta di 543 seggi. L’esercizio di democrazia elettorale più vasto del pianeta.

Eppure anche lì pare spirare un sottile vento autocratico, se – come tutto lascia prevedere – il Bharatiya janata party (Bjp) del primo ministro Narendra Modi vincerà con buon margine assicurandosi così altri cinque anni di potere.

Le critiche e le preoccupazioni si fondano su alcuni dati di fatto che si sono consolidati nel tempo nel corso dei dieci anni di governo del carismatico e popolare leader induista. Giorno dopo giorno, costantemente, è andato consolidandosi un senso di identità nazionale imperniato sull’induismo (nel quale si riconosce l’80% della popolazione) che ha progressivamente superato l’eredità britannica laico-occidentale ancora ben percepibile nei lunghi anni del gandhismo e del Partito del Congresso (dal padre della nazione Nehru fino a Sonia Gandhi passando per Indira Gandhi) per approdare a una sorta di integralismo religioso che favorisce tratti illiberali nella gestione politico-sociale del potere.

Del resto il nazionalismo indù è un po’ la cifra del governo Modi, che ha proprio in esso il fulcro del suo consenso. Il simbolo di questa influenza è forse stata, poche settimane fa, l’inaugurazione di un nuovo tempio indù edificato sul sito – in località Ayodhya, nello stato nord orientale dell’Uttar Pradesh, famoso per la presenza sul suo territorio del mitico Taj Mahal – ove estremisti indù nel 1992 demolirono una moschea. Le varie confessioni religiose sono sempre più chiaramente emarginate e combattute, in India. Ma la più avversata è quella musulmana, che è praticata da circa il 15% della popolazione ed è maggioritaria negli stati himalayani di Jammu e Kashmir, non per nulla zone in perenne tensione interna.

Ora il governo ha annunciato una nuova legge per la quale i fedeli di ogni religione tranne quella islamica potranno richiedere e ottenere la cittadinanza indiana se fuggiti dai paesi vicini a maggioranza musulmana (e per converso, anche se non è esplicitato, potrebbe accadere che i musulmani residenti nel paese possano venire deportati, quali immigrati illegali). Un ulteriore passo sulla via della radicalizzazione del potere indù, con la compressione degli spazi per chi appartiene alle minoranze, religiose e laiche.

Per quanto riguarda l’economia, invece, ovviamente uno dei temi più importanti in una campagna elettorale, la situazione è discreta, ma non esaltante. Sono ancora milioni i giovani disoccupati e i tassi di crescita roboanti, a due cifre, promessi dal Bjp sin dal 2014 non si sono mai concretizzati, anche se occorre riconoscere che negli ultimi anni l’India è comunque cresciuta più delle altre grandi nazioni con le quali ormai desidera confrontarsi, e non solo in ragione della sua enorme dimensione in termini di popolazione. La crescita avrebbe potuto essere maggiore – sostengono i critici del governo – se si fosse lasciato più spazio alla concorrenza internazionale invece di proteggere dalla medesima i grandi conglomerati nazionali, perdendo così opportunità di investimenti, soprattutto nella manifattura, che avrebbero potuto generare nuova occupazione. Ma al di là di queste giuste osservazioni l’opposizione, fragile e divisa, non ha saputo creare o individuare una reale alternativa a Modi.

L’India è destinata a divenire uno dei principali player mondiali e a tal fine Modi si è mosso con qualche ambiguità nel complicato ginepraio della nuova geopolitica. Anche qui la bussola è il nazionalismo, gli interessi dell’India prima di tutto. Le alleanze sono plurime e a rischio di contraddizione. Così quella con gli Stati Uniti viene confermata e allargata attraverso il QUAD, accordo che include anche Giappone e Australia e che è finalizzato a contrastare militarmente la crescente volontà di dominio sul Pacifico da parte della Cina.

Al tempo stesso vengono confermati i buoni rapporti con la Russia, dalla quale acquista petrolio e gas a prezzi divenuti più convenienti in seguito alla guerra in Ucraina e alle conseguenti sanzioni occidentali nei confronti di Mosca. Non solo. 

L’India è partecipe del BRICS, ora BRICS+, l’alleanza del Sud Globale, come viene definita. Qualcosa che si muove in un ambito sostanzialmente anti-occidentale. Ove la Cina punta a esercitare un ruolo preminente. Quella stessa Cina che storicamente è un avversario continentale dell’India. L’ambizione di Modi è di rappresentare in questo forum l’alternativa alla Cina o quantomeno il suo contrappeso. Un punto di contatto per l’occidente, probabilmente. Ma soprattutto l’obiettivo di Modi – se il suo partito vincerà le elezioni, come previsto – è di porre l’India al centro di un sistema di relazioni internazionali diversificate dal quale ottenere il massimo rendimento possibile.