Giuseppe Di Vittorio (Cerignola 11 agosto 1892 – Lecco 3 novembre 1957) rimane orfano a dieci anni. Il padre muore nei campi dopo una giornata di duro lavoro presso un latifondista. Peppino, come tutti lo chiamano, prende nei campi il posto del padre. È un contadino analfabeta, figlio di contadini analfabeti. Ancora bambino si vende l’unico paio di scarpe per comprare il vocabolario Zingarelli da un rigattiere. Tiene un quaderno dove annota le parole strane che ascolta e studia da solo per sfuggire all’ignoranza.
Nel 1911 dirige la Camera del Lavoro di Minervino Murge, poi quella di Bari. Nel 1921 è eletto per il Partito Socialista Deputato del Regno. Dotato di grande buon senso ed umanità, gira il territorio in sidecar per stare vicino ai contadini che vivono una condizione di sofferenza umana unica. Ritiene che il Mezzogiorno non debba pagare ulteriormente le spese dell’Unità d’Italia.
Nel 1924 aderisce al Partito Comunista. Non è eletto alla Camera ed è perseguitato dal Fascismo. Fugge in Francia ed in Russia. Arrestato, è rinchiuso nella colonia penale di Ventotene.
Nel 1945 è eletto Segretario Generale della CGIL, nel 1946, 1948, 1953 è eletto Deputato per il PCI. Nel 1956 critica aspramente l’invasione russa in Ungheria e rischia, unico parlamentare comunista, l’espulsione dal PCI.
Quando è segretario della Camera del Lavoro viene spesso a Terlizzi per questioni bracciantili. Pone il problema della luce e dell’acqua che devono riguardare la dignità della vita, non solo le abitazioni dei ricchi. Una sera invernale del 1921, nella cantina di Zocn (la zoccola è un topo grosso), sita in Terlizzi, in via De Napoli, Di Vittorio cena, a lume di candela, con i comunisti Michele Dello Russo (Terlizzi 6 giugno 1908 – Bari 19 maggio 1967) e Francesco Guastamacchia, (Terlizzi 28 aprile 1905 – 6 dicembre 1980) in seguito entrambi perseguitati dal fascismo e figure di spicco dei comunisti, con Dello Russo sindaco del CLN. Nella cantina si mangia ottima carne alla brace, tradizione di Terlizzi, si beve ottimo vino nero e si gustano le verdure prodotte in loco. La cena è consumata su tavolacci ricoperti da carta di imballaggio. I bicchieri, chiamati rzzuel, sono grossi ed in ceramica locale. La cantina è formata da una grande stanza e su un lato di essa il fuoco per arrostire.
I tre comunisti parlano di salari bassi, lotte contadine e terre tenute incolte da grandi proprietari terrieri. Accanto a loro, ad un altro tavolo, il notaio Lorenzo De Sario (Terlizzi 2 agosto 1872 – 9 luglio 1964) ed il giudice Francesco Paolo Ruggieri (Terlizzi 8 dicembre 1871 – 12 settembre 1963) nel 1946 assessori della prima Amministrazione Comunale eletta con il Sindaco Andrea Vendola (3 giugno 1917 – 13 agosto 2014). Mangiano anche loro carne, in compagnia di tre sacerdoti. Discutono di eguaglianza tra uomini, specificando che il cittadino non è solo il borghese, ma anche il contadino e l’operaio che devono essere preparati all’impegno politico. Gli uni ascoltano i discorsi degli altri. Un sacerdote di bassa statura suona il mandolino e canticchia una canzone che ripete spesso la parola Biancofiore.
Di Vittorio, incuriosito dal sacerdote che parla con cadenza siciliana, si avvicina al tavolo, si presenta e chiede da quale parte d’Italia proviene il sacerdote. La risposta è: Sono Don Luigi Sturzo, provengo da Caltagirone in Sicilia. Gli altri due sacerdoti sono don Pasquale Uva (Bisceglie 11 agosto 1883 – 13 settembre 1955) e don Domenico Paparella (Ruvo 13 marzo 1881 – 25 maggio 1928). Sono qui perché don Domenico mi ha detto che si mangia ottima carne. Aggiunge che in provincia di Bari il Partito Popolare ha altri quattro sacerdoti segretari: don Nicola Monterisi (Barletta 21 maggio 1867 – 30 marzo 1944), don Felice Bolognese (Altamura 21 gennaio 1878 – 12 agosto 1934), don Riccardo Lotti (Andria 26 settembre 1877 – 17 febbraio 1935), don Serafino Germinario (Santeramo 30 dicembre 1870 – 10 settembre 1953.
La cena continua a tavolacci uniti e Di Vittorio si dice felice di conoscere don Sturzo del quale apprezza le battaglie autonomiste e le lotte per la uguaglianza dei diritti tra le persone.
Di Vittorio e don Sturzo convengono sulla necessità che le terre incolte siano espropriate ai latifondisti e cedute ai braccianti, che la proprietà privata abbia utilità sociale. Appuntano queste idee sulla tovaglia di carta e la firmano. Ritroviamo questi principi nella Costituzione repubblicana del 1946.
Mi racconta questo episodio il senatore Gabriele De Rosa, (Castellamare di Stabia 24 giugno 1917 – Roma 8 dicembre 2009), massimo storico di Sturzo, suo amico. Prima comunista, poi democristiano.
Quando mi mostra la tovaglia di carta e la scritta Terlizzi una grande emozione mi avvolge. La vicenda mi è confermata dall’insegnante Nicola Stragapede di Ruvo di Puglia, deceduto pochi anni fa, nipote del sacerdote Paparella.
Don Luigi Sturzo viene in Puglia perché il ruvese don Domenico Paparella (detto don Mengucce pek pek, poco poco, perché esile e basso), è direttore della Banda Musicale di Ruvo e gli musica l’inno Bianco- fiore scritto da un sacerdote toscano. Biancofiore è l’inno del partito Popolare di Sturzo e della Democrazia Cristiana.
Don Domenico Paparella muore in giovane età, anche a seguito delle percosse e delle fucilate ricevute a Ruvo dai fascisti per le sue note posizioni di condanna del regime di Benito Mussolini.
*Insieme è pubblicato dal Partito democratico della Puglia. L’articolo, qui riproposto per gentile concessione dell’autore, più volte parlamentare del Pd, è apparso sul numero 2 (ottobre 2023).