Iran – Israele: urge una risposta globale da costruire

Uscire dalla spirale attacco-ritorsione, in modo che, come ha auspicato il Papa,  nessuno minacci l'esistenza altrui. Il bisogno di una nuova cornice globale al centro della conferenza Sioi sul 75° Nato, che si apre oggi a Roma.

L’ultimo atto, in ordine di tempo, dell’ostilità che da quasi mezzo secolo intercorre tra lo stato d’Israele e la repubblica islamica dell’Iran, si è compiuto nella notte fra sabato e domenica scorsa con gli attacchi di centinaia missili e droni iraniani sul territorio israeliano.

Un inaccettabile atto di guerra condannato da tutto l’Occidente, dalla Nato, dall’Unione Europea e dal G7 nella call organizzata ieri dall’Italia, che ne esercita la presidenza  di turno.

Questa azione militare iraniana sembra ricordarci innanzitutto che vi sono questioni, regionali e globali, che si trascinano da troppo tempo ormai senza che gli stati coinvolti e l’intera comunità internazionale abbiano ancora raggiunto soluzioni accettabili.

Uno di questi teatri di instabilità è il Medio Oriente. L’attacco iraniano, coordinato con i proxy di Teheran nel suddetto quadrante mediorientale, rivela una clamorosa eterogenesi dei fini delle strategie di contenimento poste in essere in questo secolo verso il regime degli ayatollah. L’intervento militare in Iraq del 2003, in particolare, ha liquidato uno dei pochi governi laici di quell’area (insieme a quello della Siria), aprendo le porte al ritorno dell’influenza iraniana nel paese destabilizzato che si è saldata con quella già presente in Libano.

Proprio in precedenti di sovranità statali violate con invasioni, bombardamenti, uccisioni mirate, si colloca l’atto di guerra iraniano contro Israele. Il pretesto accampato per giustificare tale azione è l’attacco israeliano avvenuto alcune settimane fa contro una stazione consolare iraniana in Siria. L’Iran ha invocato l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite per la sua ritorsione, la legittima difesa, articolo che ormai è oggetto di interpretazioni molto elastiche da parte di tanti stati, non solo in Medio Oriente, al punto da comprendere atti di guerra con finalità “difensiva” in territorio di altri stati sovrani. Alimentando così la spirale delle vendette, prontamente già annunciata dal gabinetto di guerra israeliano. Una spirale che si può fermare solo con il richiamo, formulato ieri da Papa Francesco durante il Regina Caeli, che “nessuno deve minacciare l’esistenza altrui”.

In questo scenario già incandescente per la strage del 7 ottobre in Israele e per quella che continua a scapito dei civili nella Striscia di Gaza, si intravvede però qualche spiraglio di speranza che, paradossalmente, sembra potersi individuare proprio dal modo in cui è avvenuta la ritorsione contro Israele. Una azione ampiamente annunciata dall’Iran per amplificarne l’effetto mediatico (sull’Occidente, ma anche in competizione con la Turchia nella sfida a chi appare più paladino della causa palestinese nel mondo musulmano e nel mondo arabo), calcolata nei suoi effetti (non sembra aver prodotto vittime) e volta ad ottenere il massimo risultato politico con il minimo uso della forza. Tanto da esser stata definita da autorevoli commentatori una sorta di azione dimostrativa.

Aspetto che richiama un altro punto essenziale. Quello del cambiamento del contesto in cui si situa il conflitto fra Israele e l’Iran. Non si può più pensare a un Medio Oriente con Tel Aviv e Teheran in lotta per l’egemonia regionale. Perché nel frattempo alcuni importanti partners di Israele, come Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti, si sono riavvicinati pragmaticamente all’Iran sciita. E il suggello di questo processo è costituito dall’entrata dei suddetti stati arabi nel Coordinamento Brics. L’invito ad aderire al gruppo delle potenze emergenti ha richiesto all’Iran una assunzione di responsabilità adeguata al ruolo che questa nuova organizzazione ora riveste nel mondo. Se, dunque, nella retorica del regime iraniano, continuano a dominare i toni truculenti, la politica reale è ispirata a ben altri principi di realismo e di cooperazione, che sono cari alla Cina e agli altri 9 membri dei Brics, e non può contemplare nel modo più categorico la cancellazione di Israele dalle mappe geografiche.

Di riflesso gli Stati Uniti stanno puntando molto sulla valorizzazione di questo fondo di ragionevolezza che nonostante tutto traspare nel caos mediorientale, invitando Israele a non eccedere, a sua volta, nella contro-ritorsione verso l’Iran per non oltrepassare quella linea rossa oltre la quale il futuro non solo del Medio Oriente, ma quello globale si farebbe più incerto.

Perché, in ultima analisi, questa ennesima crisi fra Iran e Israele fa parte di un medesimo gioco globale. Come ha osservato l’ambasciatore Riccardo Sessa, presidente Sioi, essa fa parte di un discorso globale che parte da Kiev e arriva a Gerusalemme. E un conflitto globale “a pezzi” deve essere affrontato in modo globale e non a pezzettini, con la prospettiva ambiziosa, forse pure visionaria ma necessaria, di un ordine globale da ricostruire che comprenda il meglio di quello precedente integrandolo con le nuove istanze che si sono organizzate. Prospettiva che è al centro della conferenza internazionale, organizzata dalla Sioi, per i 75 anni della Nato, che si apre oggi a Roma con l’intervento del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.