IRAN, UNA DEMOCRAZIA A SECCO.

La regione del Khuzestan è sempre stata turbolenta, abitata prevalentemente da arabi sciiti. La siccità irrita gola e menti, rende incandescente il cuore dei rivoltosi che invocano acqua e giustizia. Senza cambiamento, in Iran resteranno preoccupazioni ed ossa stanche.

La questione scalpita senza provocare più particolare scalpore, a tutto ci si abitua, anche a fare a meno dell’acqua. La regione del Khuzestan è sempre stata turbolenta, abitata prevalentemente da arabi sciiti. Da quelle parti un movimento separatista non manca di farsi sentire, questa volta gli argomenti non mancano. La siccità irrita la gola e le menti, rende incandescente il cuore dei rivoltosi che invocano acqua e giustizia. 

Il Khuzestan anticamente si chiamava Elmas. Il nome deriva dal figlio maggiore di Sem e nipote di Noè. Quest’ultimo era destro a gestire l’alluvione che dovette fronteggiare, ma nulla potrebbe contro il deserto su cui oggi si incaglierebbe la sua barca. Per difendersi dalle sanzioni internazionali l’Iran ha concentrato le sue risorse idriche sull’agricoltura, deviando fiumi, scavando pozzi e mettendo su un sistema di 192 dighe che hanno prosciugato le falde acquifere del territorio. Occorre erigere dighe contro i rivoltosi, le loro strilla presto evaporeranno come l’acqua nei bacini idrici che con il sole battente vanificano il loro riempimento. Sembra proprio che le disgrazie colpiscano sempre al meridione di ogni paese. 

I Khuzestan è appunto a Sud del potere di Teheran. Altre vittime ci sono state perché il regime reprime quelle che sarebbero i sobillatori aizzati dai paesi confinanti. In particolar modo lo Stato carogna sarebbe l’Arabia Saudita che anni fa provocò un’invasione di cavallette provenienti dalla penisola araba che avevano saccheggiato i raccolti di barbabietole e pistacchi. Le piaghe d’Egitto hanno evidentemente una loro perenne attualità.Nel 2019, per combattere la siccità, quel dannato vicino di casa ricorse alla semina delle nuvole con fiocchi di sale facendo piovere copiosamente e anche in Iran se ne avvertirono, di sponda, gli effetti devastanti dovute a pesanti inondazioni.

Oggi, si protesta non solo in piazza ma lungo il letto dei fiumi inariditi, così i facinorosi sperano di avere vie spianate per le loro grida e lamentazioni e forse per avere pietre a disposizione da tirare contro le forze di polizia, mandate a ripristinare l’ordine costituito. Scoppierà la guerra tra i contadini e i centri urbani per chi abbia ragione ad avere la priorità degli approvvigionamenti. Sta di fatto che il 97% del paese è in difficoltà.  A questo si aggiunge anche una grave crisi sanitaria mentre il 70% della popolazione a mano di 40 anni, non ha memoria della rivoluzione del 1979 ed ha arsura di diritti e libertà, reclamando contro le disuguaglianze sociali e la grave carenza di servizi del paese.

Se le autorità hanno accusato “criminali e nemici del sistema” per le violenze, sia la guida suprema Ali Khamenei che il presidente uscente Hassan Rouhani hanno, ad onor del vero, sostenuto il diritto dei manifestanti a protestare. Forse anche loro hanno sete e non solo di bastonate da dare al prossimo. Il presidente eletto Ebrahim Raisi ha però un’altra opinione della faccenda. Il regime ha trovato un capro espiatorio. Il potere in questi anni ha fatto in qualche modo barricate contro la precedente carestia di pane e la costante crisi energetica, dovuta ad una incredibile filiera di corruzione lungo tutta la sua linea di gestione. 

Ora, contro la mancanza d’acqua, la colpa sarebbe delle donne che non portano il velo. Dio punisce chi non osserva comandamenti e precetti. L’imam Mohammad-Mehdi Hosseini Hamedani, rappresentante della Guida Suprema nella città di Karaj ha tuonato contro le donne che non indossano il l’hijab. Fulmini e saette che non hanno mosso comunque un filo di pioggia. Già in passato, un procuratore generale, Mohammad Jafar Montazeri, aveva sentenziato che il mancato rispetto delle regole ha come conseguenza inevitabili una serie di disastri naturali. A ruota altri religiosi si sono espressi sulla stessa linea.  In quella logica, non viene il sospetto che forse dall’Alto la sete di democrazia potrebbe essere punita con la sete d’acqua. Un Dio vindice prosciuga la gola e la cattiveria dei governanti e la terra diventa lo specchio bruciato della politica. La siccità incrosterà la saliva del Potere che non potrà più disporre comandi di morte e renderà secchi i suoi passi fino a paralizzarli, mandando al macero la stagnazione morale delle sue gesta.

Siamo all’opposto di “piove, governo ladro”. In una benedizione Apache si legge: “Possa la pioggia lavare le tue preoccupazioni” ed ancora in un canto: “Il Vento è la mia medicina che spazza via le pietre dalla mia mente. La pioggia è la mia medicina che lava le mie ossa stanche”. Così anche San Paolo VI che in un Angelus del 1976 pregò: “Tu, Padre buono, fa’ scendere dal cielo sopra la terra arida la pioggia sospirata, perché rinascano i frutti…Tu, Padre buono, che su tutti fai brillare il tuo sole e cadere la pioggia, abbi compassione di quanti soffrono duramente per la siccità che ci ha colpito in questi giorni….Fa’ scendere dal cielo sopra la terra arida la pioggia sospirata…Che la pioggia sia per noi il segno della tua grazia e benedizione…”. Se le cose non cambieranno, in Iran resteranno preoccupazioni ed ossa stanche e probabilmente qualche cosa di assai più. Non scorreranno speranze, non nuoterà, gioiosa, la felicità di un popolo, non galleggerà, leggera, la pace.