Jesse Jackson, un’icona dei diritti civili che ora passa il testimone.

L'eredità di un leader impegnato nella lotta per l'uguaglianza degli afroamericani. Progressista ma rigido sulle questioni etiche:  su aborto e matrimoni gay si è sempre dichiarato contrario.

Luca Bedoni

 

Jesse Jackson, figura di spicco nella lotta per i diritti civili degli afroamericani, ha preso la difficile decisione di lasciare dopo oltre 50 anni di impegno la guida della sua organizzazione (Chicago Rainbow PUSH Coalition). L’età e la salute malferma alla base di una scelta comprensibilmente sofferta.

 

Erede spirituale e politico di Martin Luther King, nel corso di molti anni ha sostenuto progetti di grande impatto sociale, come ad esempio l’accesso all’istruzione e all’assistenza sanitaria per tutti, dando uno spessore etico alle infuocate battaglie di stampo progressista. Ciò nondimeno, ha mantenuto ferme alcune posizioni ispirate a un chiaro motivo religioso, essendo egli ministro di culto evangelico battista. Sicché, sull’aborto e il matrimonio tra persone dello stesso sesso non ha nascosto la sua contrarietà, suscitando critiche da parte dei settori più radicali del movimento per i diritti civili.

 

A riguardo, merita attenzione quanto ebbe a dichiarare una volta: “Credo che tutte le persone siano uguali di fronte a Dio e che meritino gli stessi diritti e le stesse opportunità, indipendentemente dalla loro razza, dalla loro religione o dal loro orientamento sessuale. Tuttavia, credo anche che la vita umana sia sacra e che l’aborto sia una questione complessa e controversa. Riguardo al matrimonio tra persone dello stesso sesso, credo che occorra ricordare come il matrimonio implichi la fede e che debba essere riservato a un’unione tra un uomo e una donna”.

 

Leader carismatico, gli si riconosce l’abilità con la quale ha saputo trasferire nella lotta politica lo stile del predicatore. Un suo discorso, specie davanti a migliaia di persone, non è mai passato sotto silenzio. Certo, gli è stato rimproverato, come capita ai trascinatori di masse, un che di populistico e demagogico. In ogni caso non ha giocato necessariamente fuori campo, visto che nel 1984 partecipò alle primarie del Partito Democratico. In quella circostanza ottenne il 15% dei voti, primo candidato afroamericano nella storia del partito a ricevere un sostegno così alto. A vincere fu Walter Mondale, poi battuto alle elezioni da Ronald Reagan,  già in carica da quattro anni, ma indubbiamente la campagna di Jackson contribuì a far avanzare la causa dei diritti civili negli Stati Uniti.

 

Non mancano i paradossi. Un carattere non facile lo ha portato a criticare il primo Presidente afroamericano. Con Obama, infatti, i suoi rapporti non sono stati idilliaci. Jackson gli rimproverava, in sostanza, di non fare tutto quello che serviva per trasformare le promesse in politiche conseguenti, lasciando perciò nel limbo le speranze degli afroamericani. Un pungolo severo, il suo, che ha costretto più volte Obama sulla difensiva, anche se ciò non ha rappresentato un motivo di rottura irreversibile tra i due.

 

L’uscita di scena non cancella una lunga stagione di lotte all’insegna degli ideali di giustizia. Jackson ha guadagnato presto e a lungo le luci della ribalta, sapendo interpretare il ruolo di combattente generoso, con tutta l’irruenza della sua personalità e con tutte le sue contraddizioni. È stata un’icona e tale resterà per milioni di americani. E non solo per essi, pensando a quanti nel mondo lo hanno seguito con interesse.