La miglior gioia è quella che non ti aspetti, che ti prende d’un tratto alle spalle e che poi ti si presenta in faccia prima che tu possa organizzare le difese. La gioia, stando alla parola, conosce una serie di rimandi, quasi che devi sapertela sudare; questa volta le cose sono andate in modo diverso. Infatti Gioia, si legge, viene dal francese “joie” che muove dal latino “gaudium” che ha il suo rimbalzo in “gaudere”, insomma un bel tratto di strada che percorre il godimento prima di andare ad un miglior traguardo ancora. Dice Dante che “Ne la corte del cielo… Si trovan molte gioie care e belle” ma nel nostro fatto, per eccezione, si sono degnate di scendere sulla terra lasciando la loro forza sull’isola di Lampedusa.
Strano nome per questo puntino nel Mediterraneo. Dice di luce e di scoglio, una terra che si illumina e fa da riferimento a chi vi si vuole aggrappare ed a cui prestare attenzione per non infrangerti malamente sui suoi sassi o su quelli che ti aspetteranno quando la lascerai per paesi senza mare, che il destino ti tirerà addosso se provi a cambiar pelle. Un gruppo di migranti, qualche giorno fa, si è dunque imbucato nel corso della festa patronale per la Madonna di Porto Salvo ed hanno ballato con i nativi locali, un momento di tripudio inatteso. Dopo essere stati sballottati dalle onde a bordo di improbabili barche stanno andando in ballottaggio con la vita che li aspetterà ed intanto si sono regalati un attimo di improvvisa leggerezza ed hanno ballato senza pensarci su, hanno ballato senza pensare. Hanno danzato con i loro passi, aprendo e stendendo le gambe verso un attimo di futuro di colpo sorridente.
“Jerusalema” è la canzone che l’ha fatta da padrone per tutta la serata. È un pezzo di musicista e produttore africano – un certo Mister KG – messo in piedi con la collaborazione della cantante Nomcebo. Il passaggio chiave del testo è nella invocazione a Dio quando recita: “Gerusalemme è la mia casa, guidami, portami con te non lasciarmi qui. Il mio posto non è qui, il mio Regno non è qui, guidami, portami con te”. Sembra composta appositamente per i migranti che hanno approfittato del momento di festa per partecipare insieme agli abitanti dell’isola. Forse anche il desiderio di voler dare loro una garanzia. Non preoccupatevi, non resteremo qui. Altrove è la terra promessa dove Dio ci condurrà.
Hanno stravolto con il loro canto le leggi antiche del proverbio “carta canta, villan dorme”. Questa volta sono stati loro a cantare mentre le carte della burocrazia sonnecchiano, sommerse da timbri e bolli di ogni tipo che pure occorrono perché tutto sia sotto forma di legge. Hanno cantato e incantato il tempo a che scorresse lentamente con formule magiche, mistura di note e di entusiasmo, alambicchi di contentezza e pentagrammi almeno finché dura la partitura. Domani sarà un altro giorno con le fatiche che gli appartengono. Ma per adesso….
La magia è stata nella reazione dei lampedusani che li hanno accolti e non gliene hanno cantate quattro, dismettendo, per come possibile, le tensioni e le angosce legate alla massiccia invasione di gente straniera fin dentro alle loro coste. Non gli hanno fatto la festa e neppure li hanno trattati da intrusi, da persone che secondo, la Treccani, godono di un beneficio cui non hanno diritto. È stata una occasione dove tutti si sono distratti dal peso della realtà. Il ballo impone una confidenza che non conosce misure. Sarà stato forse perché a Lampedusa sanno bene di che cosa si tratti la migrazione.
Stando alla storia, al tempo degli Arabi erano meno di mille abitanti. Alla fine del 1770 l’isola fu colonizzata da uno sparuto gruppo di francesi e maltesi e poi da inglesi. Sotto Ferdinando di Borbone vi furono insediati centocinquanta abitanti di Pantelleria. Nel 1861, finalmente sudditi del Regno d’Italia, gli isolani conobbero la presenza di una colonia di domiciliati coatti poi soppressa.
A sbarchi ed ingressi a Lampedusa sono abituati e sanno bene come cavarsela con la cultura ed il cuore che occorre in certi frangenti e che non devono però impattare sgretolandosi su quel suolo di speranze. Ciò che importa è che la musica abbia fatto la sua parte abbattendo le naturali barriere che corrono tra sconosciuti. Le note hanno di bello che non chiedono permesso per poggiarsi su chi capita a tiro e così far muovere gambe, braccia e anime.
Ci sono situazioni in cui ci si deve dar da fare alacremente, lanciarsi senza indugio. “Dove ci sono cocci ci sono feste”, diceva Verga. A Lampedusa uomini a pezzi, pur se qualche feroce di turno invece ne invoca la rottamazione, si sono ritrovati in una pausa di felicità, ricomponendo almeno per pochi minuti il puzzle delle loro storie tutte di nuovo da incastrare. “Allegria” urlava il nostro Mike nazionale. Ed allora che allegria, è la nostra preghiera, abbia a ripetersi.