L’amico Nino Labate ha sviluppato su Il Domani d’Italia un dotto ragionamento sulla coerenza e l’incoerenza sollecitato, mi pare di capire, dal recente intervento in materia di Giorgio Merlo. 

Bene ha fatto Labate a controllare su di un tema tanto delicato e controverso il Dizionario Etimologico di Giacomo Devoto che, assieme al vocabolario Devoto Oli, dovrebbe stare sul comodino di ciascuno di noi. Non si sa mai.

Il suo ragionamento è stimolante, soprattutto per quanti sono appassionati di politica e, quindi, costretti a seguire la propria e l’altrui coerenza sotto vari profili.

Questo problema esiste, infatti, nella dimensione individuale e personale, ma soprattutto in quella pubblica cui è indirizzata, inascoltata, una richiesta di consequenzialità sempre più pressante, anche se, spesso, solo rivolta a chi la pensa diversamente. 

Il riferimento a Agostino De Pretis e al tanto contestato “trasformismo” è esemplare. Quella pratica politica riuscì a rispondere, nel modo possibile in quel momento, ad un problema storico ancora tuttora irrisolto per noi italiani, frutto del modo in cui prese corpo l’Italia unitaria e il suo successivo articolarsi: quello che oggi chiamiamo “governabilità”.

Tanti i modi di fare e di dare corso all’azione politica cui assistiamo che portano ad interrogarci sulla “coerenza” tra le dichiarazioni e i fatti, su quanto è stato detto e operato ieri e viene confrontato con le asserzioni e le scelte dell’oggi. Domani e dopodomani, la questione si riproporrà se non interverrà una trasformazione radicale del sistema politico e di quello sociale e civile ad esso sottostanti. Il mondo e i comportamenti umani non cambieranno solo a seguito delle nostre considerazioni.

Il riferimento alle recenti vicende politiche fa ancora una volta interrogare sulle particolarità della storia parlamentare del nostro Paese e la conseguente considerazione che della politica hanno le nostre genti.

L’esperienza storica ci dice che re, principi, governanti moderni non blasonati, hanno spesso dovuto considerare il problema della coerenza in maniera dissociata tra il livello personale e quello istituzionale. 

Non sempre l’opportunismo individuale, o il suo opposto, ha coinciso con quello seguito nel pubblico, e viceversa . Numerosi i casi di incoerenze personali ed interiori, poi, sublimate e coincidenti con “grandiosità” di visione e di operatività politica.

Esiste lo “stato di grazia”, ma anche la “grazia di stato”, e, soprattutto in maniera  determinante, la forza delle necessità insite nelle condizioni concrete che concorrono a formare la sfera più ampia delle relazioni politiche, delle dinamiche sociali, dei processi economici e civili.

“Parigi val bene una messa”, precede di molto il “trasformismo” del dopo Unità d’Italia. Enrico IV, ugonotto, si converte al cattolicesimo per riunire e pacificare la Francia da lui conquistata militarmente. Finirà per essere chiamato “Il Grande”. 

Eppure, è evidente il tasso di strumentalità della sua personale conversione. Di essa non è rimasta traccia alcuna nei libri di storia, se non per la parte aneddotica. Non sappiamo quante siano state le effettive sue partecipazioni alla messa, dopo quella dell’incoronazione. E’ rimasta, invece, l’impronta di una politica servita a chiudere un lungo periodo di divisioni insanguinate tra i francesi di allora che si confrontarono, armati, per l’adesione a differenti visioni cristiane.

Tutti questi ragionamenti non sono astratti. Vanno al punto centrale di quello di Labate che, sul Domani scrive: “Tenendo conto del fatto che la coerenza, nelle questioni temporali,  è sempre figlia della storia dell’uomo, che serve sino a quando non si vuole riproporre con tutti i suoi pre-giudizi ed errori, dal momento che va sempre a braccetto con lo “spirito del tempo”.

Che poi significa aver assorbito l’espressione del Guicciardini secondo il quale è  “grande errore parlare delle cose del mondo indistintamente e assolutamente e, per dire così, per regola; perché quasi tutte hanno distinzione e eccezione per la varietà delle circostanze, le quali non si possono fermare con una medesima misura: e queste distinzione e eccezione non si trovano scritte in su’ libri, ma bisogna le insegni la discrezione”.

Bene fa Labate a precisare di non avere alcuna “intenzione di elogiare l’in-coerenza e il relativismo” e a sostenere che “anche le identità ci aiutano infatti a capire chi siamo e dove andiamo”.

Il suo ragionamento convince. Sarebbe ancora più convincente se si riuscisse a precisare meglio il suo seguitare: “Succede però che una volta osservate come scatole chiuse a chiave con doppia mandata, in verità ci aiutano poco anche loro ( si riferisce, evidentemente, alle identità! nda). Anzi a volte ci ostacolano. Poiché si tratta di un ripetersi inutile. Di un ritorno inefficace. Spesso causa di grossi se non pericolosi equivoci”.

E’ meglio approfondire e trovare un qualcosa di dirimente nel dilemma della scelta tra coerenza e incoerenza, continuando il suo ragionamento tra identità o meno, perché il problema continua a permanere, anche per il forte influsso che esso ha nei diffusi convincimenti sociali e culturali. 

Il rifugio nell’astensionismo non è anche legato a questa questione? Il cosiddetto distacco tra paese legale e paese reale affonda pure nell’incoerenza addebitata ai politici che, sbagliando, sono visti tutti uguali e inaffidabili. 

Sul piano umano, il tasso di coerenza o d’incoerenza ( quest’ultima in pochi si è disposti a riconoscerla in noi stessi, se non sulla base di una imbarazzante, dimostrata e incontrovertibile smentita), non può che essere valutato nel profondo della coscienza, il giudice più freddo e spietato il cui intervento non sempre è mitigato, purtroppo, dalla naturale ed umana tendenza all’autoassoluzione.

Riferendosi all’impegno e all’operatività politica e istituzionale, quanti sono ancorati ad un credo religioso sono “ vittime” di ciò che può essere considerata la “ costrizione” di dover fare i conti con una coerenza indotta, persino imposta, resa stringente da un forte riferimento ideale. 

All’opposto, il vantaggio  è quello di avere un metro di paragone a portata di mano, destinato a rendere tutto più chiaro ed evidente: il riferimento al “bene comune”.

Quel “ bene comune” che pure nel Machiavelli, considerato dozzinalmente il padre dell’opportunismo politico e dell’idea che il “ Principe” non si deve sentire frenato dall’accusa di essere additato come incoerente, oltre che doppiogiochista e cattivo, vale in quanto fine ultimo del governare e del governante.

La ricerca del “ bene comune” a noi fornisce l’identità di cui tanto si parla e che tanti equivoci ha creato e crea nel mondo cattolico perché,  secondo alcuni, il riaffermare questa identità, parte integrante di una possibile, nuova e originale presenza laica in politica, può finire per assumere superate forme d’integralismo e di clericalismo.

E’ vero, ha ragione Labate, esiste il rischio che la “ coerenza”, certo una coerenza formale, burocratizzata o, persino, “militarizzata”, possa far addormentare la nostra intelligenza.

Ecco, perché, la definizione di una identità deve far parte di una rappresentazione più ampia di un progetto politico da offrire a tutto il Paese, non solo a quello spicchio più o meno ampio cui noi partecipiamo.

L’intelligenza e la coscienza si tengono sveglie con il “pensare politico”; con la quotidiana esercitazione del discernimento destinato ad essere messo in campo attorno ad  analisi, progetti e scelte politiche; con la continua capacità di tenere conto del concreto dispiegarsi di fatti che intercorrono nella politica e finiscono per modificare i punti di riferimento, altrui comportamenti, vicende epocali che interessano il mondo e in grado di influire in maniera eccezionale e nel condizionare le nostre scelte domestiche.

In conclusione, mi sembra di poter ripetere che la coerenza richiesta ai cattolici democratici sia da collegare alla loro ricerca del “bene comune” e, in questo, siamo facilitati dal riferimento a due patrimoni determinanti e “non negoziabili”: il Pensiero sociale della Chiesa e la piena adesione alla Carta costituzionale. Il resto, segue di conseguenza.