La commemorazione odierna (di ieri per chi legge, ndr) della figura del Presidente Giorgio Napolitano, nell’aula del Senato, ha avuto un effetto politico preciso, , almeno per chi abbia occhi per vedere, orecchie per sentire e cervello per riflettere: la fine dell’equivoco, sul quale vi è chi disserta e chi campa politicamente, che pretende di individuare il Movimento 5 Stelle come una nuova “costola della sinistra”.
È da quando è sorto questo fenomeno, che a sinistra si dibatte sulla natura politica di questa forma di populismo. E nel Pd, da alcuni anni, si è andata affermando la teoria bettinian-dalemiana che immagina i grillini nel solco della tradizione del ceppo della sinistra italiana. Sono, secondo questa vulgata, al più “compagni che sbagliano”, delle nuove “costole della sinistra” appunto, pecorelle da ricondurre all’ovile dentro la retorica del “campo largo” che già costò molto cara a Nicola Zingaretti ai tempi del governo giallorosso inducendolo alla definizione che gli resterà appiccicata addosso di Conte fortissimo punto di riferimento dei progressisti.
Bene, mentre ieri il fortissimo punto di riferimento dei progressisti era intento a far votare a favore – insieme con la Meloni – del contratto di servizio della Rai (la Rai, la sentina di tutte le lottizzazioni per il Beppe Grillo d’annata, ora diventata la terra promessa dei “contiani” su regia di Rocco Casalino), in aula è andata in scena una rappresentazione che taglia definitivamente ogni equivoco, almeno per chi abbia onestà intellettuale.
Intervenendo a nome del Movimento 5 Stelle, il senatore Licheri ha pronunciato un discorso duro, a tratti quasi sprezzante, nei confronti della figura di Giorgio Napolitano. Tratteggiato come un Presidente della Repubblica eversivo, che andò oltre i suoi poteri per esercitare la propria funzione come un monarca chiuso alle istanze del popolo. Un uomo refrattario e riluttante – uso le parole di Licheri – al cambiamento, una personalità che secondo i grillini-contiani è stato corresponsabile dei guasti e delle degenerazioni della Repubblica, perchè – seguo sempre il ragionamento dell’oratore – si sarebbe opposto all’interno del Pci alla politica di Berlinguer della questione morale.
Quasi un traditore del popolo, insomma, che si oppose all’ondata rivoluzionaria dal basso del populismo e per questo da ricordare con lo stigma del dileggio.
Una lettura sideralmente opposta rispetto alla lettura del periodo storico che ne hanno fatto in questi giorni molti esponenti della sinistra italiana che con Napolitano condivisero l’esperienza all’interno del Pci-Pds-Ds e all’interno delle istituzioni repubblicane.
Come sia possibile fondare una alleanza politica tra quelli che pretendono di essere gli eredi di Napolitano e quelli che ancora oggi si sono impalcati a iconoclasti di quella esperienza politica, resta un mistero.
Quale dimensione dell’ethos, dell’antropologia del potere, della prospettiva ci possa essere tra chi presenta l’operato di Napolitano come un modello e chi ne rappresenta la figura come la sentina di tutti i mali resta un equivoco non rimuovibile, neppure dalla tattica più sfrenata e dalla cosmesi più accentuata.
A meno che si pensi che la politica sia solo la rincorsa del potere per il potere, cinica rappresentazione di una rincorsa affastellata per la sopravvivenza di una classe dirigente.
Ma in questo caso, non è politica.
[Il testo è tratto dal profilo Fb dell’autore. Titolo originale: “Fine di un equivoco, per chi abbia occhi per vedere”]