La presidente del Consiglio ha appena festeggiato i suoi tre anni di governo, il primo per durata in assoluto anche per la destra che lei rappresenta, quando proprio dalla sua compagine viene lo scivolone istituzionale. La ragione di questa inadeguatezza della destra al governo sta tutta nella mancanza di conoscenza delle regole, scritte e non scritte, del vivere quotidiano tra le istituzioni repubblicane.
Una maggioranza che non conosce le istituzioni
La destra è arrivata al governo sull’onda dei risultati elettorali che l’hanno collocata come primo partito tra gli italiani che sono andati a votare. Ed è bene ricordare che già allora i non votanti erano ben oltre il cinquanta per cento degli aventi diritto. La destra è rimasta ancorata a quel 45% dei voti espressi e non ha approfittato di questi anni per ragionare al proprio interno, consolidando quella conoscenza delle regole istituzionali che il più delle volte non stanno scritte sui libri di testo.
Gli svarioni istituzionali, come quello visto in queste ore – l’accusa di “fantomatica cospirazione” da parte del Presidente della Repubblica nei confronti del governo in carica – sono una conseguenza di questa mancanza di prospettiva nel governare le istituzioni del Paese. A ciò si aggiunge, sciaguratamente, anche l’evidente “asineria” del soggetto che ha posto in essere l’accusa, senza considerare affatto il ruolo che ricopriva. Ma nemmeno la presidente del Consiglio ne è indenne, se non vigila sull’operato dei suoi e non pretende da essi il rispetto delle istituzioni.
Il divario tra vertice e “seconde file”
Ovviamente non è la prima volta che il richiamo alla stima e alla correttezza istituzionale viene riaffermato nei comunicati stampa o nelle dichiarazioni successive agli incontri tra il Presidente della Repubblica e la presidente del Consiglio.
Ma l’opinione pubblica tutta, anche quella della stessa parte governativa, percepisce la crepa, ne vede la dimensione – fosse pure sottilissima – nonostante la bravura del Presidente della Repubblica nel richiudere il tutto in un colloquio di venti minuti.
Ciò che rimane evidente è che nelle seconde e terze file della compagine di governo non vi è la percezione del ruolo che si ricopre, dell’importanza del ruolo stesso nei confronti del Paese, o se si preferisce della Nazione.
Si può osservare che il tentativo mai sopito di lanciare il premierato come soluzione capace di portare il Paese “nei tempi contemporanei” non risolve la mancanza di conoscenza delle istituzioni; anzi, mostra esattamente il contrario. Il premierato comporterebbe una maggiore attenzione verso la figura del Presidente della Repubblica che, svuotato dei poteri di interferire negli affari di governo, vedrebbe accrescere in modo esponenziale quelli di rappresentanza della Nazione. In tal caso un’offesa diretta avrebbe il peso di una lesa maestà in una monarchia costituzionale.
D’altro canto, le istituzioni un popolo se le dà nella forma che meglio ritiene, democraticamente, attraverso un’Assemblea legislativa. Nel nostro caso la scelta della maggioranza è stata quella della Repubblica parlamentare, e al Presidente di questa Repubblica tutti devono il rispetto che il suo ruolo richiede.
La necessità di un vero esame interno
Dunque, per tutto il gruppo governativo – volendo arrivare a fine legislatura – si impone una ricognizione interna, senza peli sulla lingua e senza timori, sulla conoscenza delle regole del governare il Paese: quali ruoli si ricoprono, cosa comporta ricoprirne uno, quali limiti ne derivano.
Se invece si preferisce continuare con l’approssimazione, ormai davvero deleteria, nella scelta non ponderata di chi debba ricoprire un ruolo e di chi debba invece lasciarlo per indegnità (qualità che misura lo spessore morale della persona) o per inopportunità (che valuta la persona in base a circostanze anche non personali), gli svarioni istituzionali saranno all’ordine della settimana.
Però il Paese comincerà a ricordarseli con maggiore attenzione. E questo non gioverà certo alla compagine della presidente del Consiglio. Saranno proprio quegli italiani che lei richiama spesso nei comizi – come unici arbitri del suo futuro politico – a mandarla a casa, non per le decisioni di governo, ma per aver messo e mantenuto “sciocchi e asini” nelle istituzioni.

