Serve una coalizione ampia e un Pd “aperto”. Letta faccia attenzione a non lasciarsi rinchiudere nell’angolo. Non ha senso enfatizzare il posizionamento a sinistra, quando la natura e la vocazione del Pd sono impregnati di quei valori fondativi che evocavano l’oltrepassamento delle divisioni del Novecento, così da riunire le autentiche culture riformatrici (storicamente più di centro, e del centro di matrice dc, che di sinistra). Bisogna aprire al mondo cattolico, altrimenti la proposta politica non ha sviluppi sufficienti.
Giuseppe Fioroni
Più avanzano i giorni e meno si chiarisce la volontà dei partiti coinvolti in un disegno intelligente e coraggioso di preservazione della cosiddetta Agenda Draghi, contro l’ondata della destra. Quasi non se ne parla più, né dell’Agenda e né di Draghi: il programma appare conformato all’esigenza di aggiungere e togliere qualcosa, per pizzicare le corde più sensibili dell’elettorato; la leadership sembra un gioco di numeri e combinazioni, giacché se avanza con prudenza l’ipotesi di Letta – il front runner Dem – immediatamente sopraggiunge l’autocandidatura di Calenda. Il timore è che i nodi, invece di sciogliersi, si aggroviglino ulteriormente.
Sul perimetro dell’alleanza la novità consiste – e non è cosa da poco – nel riconoscere che non sono accettabili veti e pregiudiziali, essendo prioritario identificare il comune intento di allargare l’area della partecipazione e del coinvolgimento in questa dura battaglia elettorale. Tuttavia al momento vince la tattica, non la lungimiranza e la generosità. Dietro i buoni propositi ci sono le dinamiche legate alla scelta dei candidati, in un contesto che vede la riduzione del numero dei parlamentari. Molto dipende dal Pd, dalla tenuta del suo gruppo dirigente, in quanto gli alleati potenziali sono troppo debolì per andare oltre la misura dei distinguo e dei rilanci, spesso dettati da preoccupazioni molto concrete in ordine alla convenienza a stare in un grande contenitore di centro sinistra.
Eppure il contenitore, specialmente questa volta, deve essere ampio. Senza questa apertura la destra può dilagare, vincendo a mani basse. Ora, se il Pd mostra di volersi impegnare seriamente, ancora conserva nei suoi movimenti la farraginosità che dipende da una strategia per così dire faticosa. Non ha senso, a mio giudizio, enfatizzare il posizionamento a sinistra, quando invece la natura e la vocazione del partito sono impregnati di quei valori fondativi che evocavano l’oltrepassamento delle divisioni del Novecento, così da riunire le autentiche culture riformatrici (storicamente più di centro, e del centro di matrice dc, che di sinistra).
Se il Pd ripiega le vele e si propone come forza di sinistra, con una sottile ma evidente forzatura rispetto alla sua connotazione originaria, può ambire a ricomporre il solito cartello elettorale che dal 1948 ad oggi sta poco sotto o poco sopra la soglia del 30 per cento. In più, facendo questa retromarcia, viene ad appannarsi il contributo dei popolari, anche a dispetto dell’essere popolare gran parte della dirigenza del partito e della rappresentanza governativa. Il passaggio è stretto e non consente l’accomodarsi nell’ambivalenza, esibendo una carta d’identità che il tempo – dobbiamo esserne consapevoli – ha reso fatalmente meno leggibile, quasi fosse scaduta.
È necessario dare un colpo di frusta a tutte le pigrizie e gli accomodamenti. Le candidature sono importanti e vanno individuate con cura, anche sollecitando la disponibilità a rendere un servizio nei collegi disperati, dove vincere è pressoché impossibile. Credo che il retroterra popolare del cattolicesimo italiano sia in grado di produrre uno sforzo di testimonianza attiva, sempre che lo si solleciti con garbo e capacità di spiegazione. Oggi il Pd è troppo “neutro” per essere attrattivo dei “mondi vitali” che hanno radici nell’Italia della solidarietà, e quindi nel tessuto connettivo di comunità impegnate laicamente nel sociale in forza di una motivazione di fede.
Se posso dare un consiglio, gli amici del Nazareno dovrebbero preoccuparsi di “catturare”, in senso nobile e positivo, alcune figure emblematiche del retroterra cattolico. Un tempo anche la Dc prevedeva la selezione di candidature simbolo: chi non ricorda l’ingresso in lista o nei ruoli di fìgoverni di personaggi della statura di Leopoldo Elia, Roberto Ruffilli, Vittorio Bachelet (ma anche Augusto Del Noce, Armando Rigobello, Nicolò Lipari). Questa è la sfida che non può lasciare indifferente Enrico Letta. Oggi è più difficile di ieri? Ho l’impressione, a dire il vero, che sia più necessaria e vincolante, in qualche modo più decisiva. Diversamente emergerà che l’epica competizione con la triade Berlusconi-Salvini-Meloni tutto sarà meno che epica, essendo persa in partenza.