[…] Negli ultimi anni [la] condizione giovanile è stata spesso oggetto di generalizzazioni e semplificazioni, che spesso finiscono per imputare ai giovani stessi la responsabilità di questo stato di cose. Le principali cause sarebbero da ricercare in uno scarso impegno profuso nella scuola, in una presunta apatia generazionale e un disinteresse per il lavoro. I giovani sono stati spesso definiti: “bamboccioni”, “sdraiati”, fino al sofisticato rimprovero di essere troppo “choosy”. Questi atteggiamenti sono emblematici del rifiuto di capire il mondo dei giovani e, soprattutto, di attivarsi per risolvere i problemi che rendono le nuove generazioni più dipendenti dalla famiglia, non per scelta ma per necessità.
Affrontare questa situazione è invece una priorità assoluta. Questo non soltanto per gli effetti immediati della situazione di disagio e deprivazione dei giovani più fragili, ma soprattutto perché – come risulta da numerosi studi socio-economici – un livello di istruzione insufficiente, periodi di inattività e disoccupazione in età giovanile hanno conseguenze importanti anche in età adulta. Il tutto ulteriormente peggiorato da una bassa mobilità sociale che, attraverso la trasmissione intergenerazionale della povertà, condanna molti giovani in una “trappola della povertà”. Come certificato dall’Istat, quasi un terzo degli adulti (25-49 anni) a rischio di povertà proviene da famiglie che erano povere quando i soggetti intervistati erano giovani.
Il cahier de doléances dei problemi dei giovani, in questi tempi di alta inflazione e di fosche prospettive di crescita economica, potrebbe proseguire all’infinito. Resta il dato più emblematico, che mostra come nel nostro Paese le risorse destinate alla scuola e al welfare dei più giovani siano fortemente sottodimensionate rispetto al resto dell’Europa. Mentre l’Europa (UE27) spende in istruzione mediamente il 4,8% del PIL, e paesi come la Svezia, la Danimarca e il Belgio superano abbondantemente il 6,2% del PIL, in Italia la spesa in istruzione si attesta al 4,1% del PIL. Lo stesso potrebbe dirsi delle spese per il welfare, dove tuttavia il problema non è solo l’esiguità delle risorse, ma soprattutto la distorsione nella composizione che privilegia gli aspetti previdenziali, rispetto alle politiche di sostegno ai giovani. Se è vero che in un Paese che invecchia non potrebbe essere altrimenti, queste scelte di politica economica rivelano una prospettiva decisamente miope, che rafforza la caduta del tasso di natalità delle famiglie e condanna l’Italia a un calo demografico che nel giro di 20 anni vedrà una riduzione consistente della popolazione in età di studio e di lavoro.
Le notevoli risorse finanziarie mobilitate dal programma europeo Next-Gen EU – come recita il nome stesso scelto dalla Commissione europea – dovrebbero servire a sostenere e rafforzare il benessere delle generazioni future e non a scaricare su di loro ulteriore debito pubblico. La sfida è aperta e i giovani devono far sentire la loro voce.
Claudio Lucifora è professore di Economia politica all’Università Cattolica di Milano, dove dirige il Centro di Ricerca sul Lavoro “Carlo dell’Aringa” (Crilda).
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[Titolo originale: I giovani e il lavoro: un percorso in salita]
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