Carlo Donat-Cattin, Franco Marini e la sinistra sociale della Dc.

La “sinistra sociale” di ispirazione cristiana continua ad essere attuale e moderna. Ma il pensiero di Donat-Cattin e di Marini non può essere stiracchiato, strumentalizzato o ridotto a semplice propaganda.

Sto ultimando un libro sulla esperienza della “sinistra sociale” di ispirazione cristiana nella politica italiana. Ovvero, l’esperienza riconducibile alla componente di Forze Nuove di Carlo Donat-Cattin nella Dc prima e poi di Franco Marini nei partiti che si sono succeduti dopo il tramonto della stessa Dc all’inizio degli anni ‘90. Certo, la storia non si ripete mai e quando cerca di farlo, come ben si sa, si trasforma prevalentemente in farsa. Come puntualmente è capitato in questi ultimi anni.

Ora, e al riguardo, è indubbiamente encomiabile che molti amici cerchino ancora di rifarsi a quella esperienza politica, culturale e sociale – ovviamente con una versione aggiornata e soprattutto contemporanea – dopo la sbornia populista, qualunquista, demagogica e trasformistica dell’ultima fase della cosiddetta seconda repubblica. Ed è altrettanto difficile scimmiottare una straordinaria realtà politica che, priva di un leader naturale di riferimento, rischia di trasformarsi in una semplice evocazione astratta e politicamente inconcludente e sterile. Eppure, al di là dello scorrere del tempo e del rapido cambiamento delle fasi politiche – oltretutto rafforzati dalla sostanziale assenza dei partiti sostituiti da vivaci quanto aridi cartelli elettorali – non si può rinunciare tranquillamente ad un patrimonio culturale, politico, sociale ed istituzionale che continua a rappresentare un asset decisivo e qualificante per l’intera storia del cattolicesimo politico italiano. Ma tutto ciò è possibile farlo, seppur con difficoltà, contraddizioni e molti limiti, a due sole condizioni.

E cioè, chi vuole riproporre il “pensiero” della “sinistra sociale” di ispirazione cristiana nella cittadella politica italiana deve oggettivamente riconoscersi in quel patrimonio. Sarebbe curioso, nonchè singolare, se la nuova “sinistra sociale” fosse interpretata e fatta propria da chi è sostanzialmente estraneo a quella cultura, a quella sensibilità e a quella tradizione ideale. Sarebbe, in versione diversa, una nuova forma di trasformismo politico e di opportunismo culturale.

In secondo luogo, la “sinistra sociale” di ispirazione cristiana non può sentirsi a casa sua in qualsiasi contenitore politico, o cartello elettorale o partito politico, come si chiamava un tempo. Certamente non nel partito populista per eccellenza, cioè i 5 stelle che pensano che la “sinistra sociale” sia una sorta di ricetta pauperista e brutalmente assistenzialista. Né all’interno dei partiti che coltivano, legittimamente, un progetto liberista a livello di politica economica e sociale e laicista sotto il versante culturale ed ideale. O, infine, in partiti che hanno e perseguono un’altra ragione sociale: chi, ad esempio, una sinistra radicale e massimalista o chi un sovranismo clericale e culturalmente anti solidarista.

Insomma, la “sinistra sociale” era, e resta, un giacimento culturale e politico a cui molti cattolici italiani, e non solo, non possono rinunciare. Ma questa “sinistra sociale”, sempre più necessaria in un contesto dominato, come quello contemporaneo, da una sempre più preoccupante ed insidiosa “questione sociale”, deve conservare quella coerenza politica e quella lungimiranza culturale che sono, e restano, gli ingredienti decisivi ed essenziali per continuare ad essere credibili nella società italiana post ideologica ma non ancora post politica.