La domanda di centro esiste oltre le elezioni friulane

Occorre chiedersi se il centro che si pensa di costruirecorrisponda alla necessità di cittadini e mondi vitali. Solo così potremo avvicinare l'idea che abbiamo con quella richiesta nel Paese reale.

Giuseppe Davicino

Le ultime elezioni regionali friulane hanno confermato delle tendenze già note, con le quali tuttavia forse non si è ancora fatto i conti in modo adeguato.

La prima conferma riguarda l’alta astensione dentro la quale purtroppo non è difficile ravvisare un messaggio di sfiducia verso l’interno sistema politico, ormai considerato da una fetta rilevante di elettori quasi come un passacarte di decisioni cruciali per la vita dei cittadini, che vengono prese per lo più al di fuori e al di sopra di un controllo democratico. La seconda conferma è quella sui rapporti di forza all’interno del corpo elettorale che ha esercitato il diritto-dovere del voto: il centro destra continua a prevalere largamente sulla sinistra. Il Partito Democratico, si dice, non ha beneficiato dell’effetto Schlein. Ma, a ben vedere, ci si potrebbe domandare quale avrebbe mai dovuto essere un tale effetto, considerando che la nuova segretaria del Pd ha vinto le primarie più ricompattando la vecchia sinistra ideologica che presentando un progetto per Paese. In terzo luogo si conferma la debolezza del cosiddetto terzo polo, in mancanza di una forza politica più definita nel suo profilo culturale, programmatico e organizzativo, capace di andare oltre le due attuali, rappresentate da Renzi e Calenda.

In particolare credo che si debba fare i conti con questa terza conferma, dei limiti delle proposte riconducibili al centro proprio in una fase in cui, almeno in teoria, lo spazio politico del centro risulta molto ampio e assai poco presidiato dai partiti esistenti. Come uscire da questa impasse? Chi, come i Popolari, non si rassegna al fatto che circa la metà dei cittadini non partecipi più alle elezioni e non si rassegna a un bipolarismo delle ali estreme Meloni-Schlein, credo debba tentare di dare una risposta.Partendo, a mio avviso, dal chiedersi se il centro che si pensa di costruire, corrisponda del tutto a quello di cui avvertono la necessità molti singoli cittadini e mondi vitali.

Da dove ripartire, dunque? Innanzitutto, direi, da due parole chiave: formazione e pluralismo. La gran parte dei partiti, come pure degli altri corpi intermedi, pare aver rinunciato a esercitare il  controllo diretto su una formazione degli iscritti, dei giovani, dei propri quadri, lasciandoli in balia del supermercato delle idee e delle mode costituito dai media e dalla rete, dove si afferma la visione di chi ha più mezzi per fare propaganda. Il centro che intendono costruire i Popolari dovrà essere percepibile per lo spessore della sua proposta, capace di innescare dei concreti processi di formazione non solo tra gli addetti ai lavori ma principalmente nei territori e nei vari ambienti sociali.

L’altro modo per avvicinare l’idea di centro che abbiamo con quella richiesta nel Paese reale, credo consista nel contribuire a superare in modo mite, pertinente e costruttivo ma determinato, i limiti di un dibattito pubblico che, sulle note questioni che tengono banco nella nostra epoca , tende a estromettere il confronto dei differenti punti di vista. Ciò innesca dei meccanismi che allontanano i cittadini dalla politica, creano sfiducia e sconcerto tra la gente. Nel dibattito relativo ai grandi cambiamenti in corso, riguardanti la sfera geopolitica, l’ambiente e la rivoluzione tecnologica digitale, tra il dogmatismo salottiero della narrativa dominante, imposta da pochissime persone, e i deliri di certa cosiddetta controinformazione, esiste lo spazio concreto della gradualità, delle mille sfumature del buonsenso rispetto a una visione rigida, quando non manichea dei cambiamenti.

Il cantiere del centro, stimolato anche da risultati alle regionali di quest’anno non esaltanti, potrebbe assumere come sfida la capacità di dare risposte concrete e fattibili, a un sentire popolare che sembra non fidarsi troppo del modo in cui vengono gestite le grandi trasformazioni in corso, mostrando e sostenendo la linea del confronto, del dialogo, della partecipazione per arricchire, migliorare, emendare decisioni e scadenze definite senza un sufficiente consenso democratico. Se sapremo intraprendere la strada di una mediazione reale e puntuale sulle priorità che si presentano, allora forse potremo anche rendere il centro a trazione popolare una proposta significativa per molti cittadini che in questa fase faticano a trovare una loro rappresentanza.