La lezione artistica di Geraci: mai darsi vinti nella ricerca della perfezione.

Conservatore ed innovatore, Nino Geraci produce armonie. La tecnica si unisce alla sensibilità e la valenza estetica sembra bloccarsi, volutamente, all’iconografia. Il risultato: immagini contrastate dall’alternarsi di forze centripete e centrifughe.

Fino al 2 luglio 2023 a Palazzo Branciforte a Palermo si può visitare la mostra Nino Geraci. Scultore del Novecento a Palermo, a cura di Gioacchino Barbera, con il coordinamento scientifico di Cristina Costanzo. La mostra, ideata in stretta collaborazione con gli eredi dello scultore, che conservano gran parte delle sue opere, intende recuperare agli studi e al tempo stesso presentare al pubblico più vasto la personalità artistica di Nino Geraci, uno scultore che ho apprezzato e studiato nel corso delle mie ricerche inerenti gli artisti italiani dei primi decenni del Novecento.

Tra le diverse documentazioni di casa Geraci ho trovato questo scritto: “Ben pochi diventano dei veri professionisti poiché si pensa che il miraggio della perfezione comporti necessariamente il raggiungimento del massimo traguardo e poi si rinuncia perché non si riesce ad arrivarci. Il pericolo non sta nel non raggiungere la perfezione assoluta. Sta nel darsi per vinti in questa ricerca”. Ed ancora, all’interno di una lettera inviata alla moglie nel novembre del 1957, “…Di fatto a Roma ero tra i primi giovani scultori. Poi saltai lontano, a N.Y. City, ove ottenni applausi e lodi più di quanto non mi aspettassi ma la morte inaspettata di mio padre, sul più bello, quando già mi ero affermato in terra straniera… ha fatto sì che tutto sia svanito, come un sipario di teatro. Ho dovuto cambiare…e ritornare a Palermo…”. Quindi ricerca della perfezione, prioritaria rispetto alla perfezione stessa, ed emigrazione a metà degli Anni Venti, alla ricerca, nuovamente, della propria natura-personalità e di “fama e gloria”. In entrambe le ricerche Geraci sembra non essere stato sufficientemente capito e, nel secondo caso, indirizzato dalla sorte, a scelte diverse.

Palermo 7 agosto 1900 Nino Geraci nasce (“era un vero leone” afferma la moglie) e dalla terra di origine assimila un carattere forte, irrequieto, a volte orgoglioso e contemporaneamente ricco di forza e vivacità creativa. L’arte prima di tutto. Anche prima della famiglia the amava immensamente ma in certi momenti contrastava, nel gioco dell’equilibrio Nord-Sud (la moglie Hildegard, pittrice e tedesca). Indispensabile la sfida, “alla” e “per” la vita, iniziata da bambino mentre aiutava il padre Gaetano, sbozzando crete o riproducendo teste di Serpotta. La passione di Geraci per la scultura è talmente profonda che non si arresta neppure quando a Roma, all’età di nove-dieci anni, si infortuna un piede con la macchina per tagliare il marmo. Questo fu il motivo per cui non fu arruolato in Guerra ed anche la causa di diverse operazioni, durante tutta la vita. Dopo gli studi di scultura a Roma e alla Scuola della Medaglia, dove prose due premi, e la frequentazione dell’Accademia di Belle Arti di Roma, gli viene affidata una Classe di Scultura. Geraci preferisce l’esperienza americana e nel 1925, dopo anni passati a studiare disegno, architettura, scultura (si vedano Torso del 1918-20, Ratto d’Europa della seconda degli anni `20 e i molteplici nudi femminili), decide di andare a New York, dove apre il primo studio, visitato da amici e collezionisti tra cui John Rockefeller, al Mac Dougal Alley.

II periodo di New York fu un momento felice: venne accolto, introdotto dallo zio marmista Beppino all’Unione Architetti Americani, nonostante non fosse cittadino americano. Geraci utilizzo con perspicacia i suggerimenti dati dallo zio e da alcuni amici incontrati casualmente nella “Big Apple”. Nonostante il carattere introverso, seppe organizzare le sue “public relations” tramite contatti con famiglie importanti che gli procurarono commissioni artistiche, soprattutto ritratti, tra cui Elizabeth Marshall, il Console Emanuele Grazzi, Vincent Peppe, Peeton e Charles Collens. In queste opere spicca l’attenzione psicologica data dallo scultore ai soggetti raffigurati e l’impianto classico, antico – come la natura artistica di Geraci – e moderno allo stesso tempo. Realismo e Neoclassicismo. Riguardo quel periodo la moglie Hildegard ricorda “collaborava con diversi studi di architettura, come Cross & Cross e The American Architect. Lui si sentiva felice a NY ed è per amore della madre che era tomato in Sicilia”. Lo scultore Geraci risiede nella capitale statunitense per sei anni. La sua permanenza newyorchese sarà interrotta soltanto da una breve parentesi europea: nel1928, tornando a Palermo, decide di soggiornare per alcuni giorni a Londra ed a Parigi.

Il successo statunitense si consolida tra il 1929 e il 1931. Sono anni in cui, nelle più prestigiose riviste e quotidiani americani, vengono pubblicati molti articoli riguardanti il giovane autore italiano. “Nino Geraci: l’artista siciliano che si è fatto valere in U.S.”; “Geraci ha solo trenta anni ma il suo stile dimostra una stupefacente combinazione che produce un effetto lirico, che solo le mani di un Maestro possono produrre. II suo metodo è una sintesi classica con una idea moderna”. Blind Man del 1931, realizzato per la Architectural League di New York, gli fa ottenere l’ambito “The Avery Prize” … “per la concezione che si stacca da ogni scuola ed ha l’impronta individuale della feconda fantasia del Geraci. Tutti piani della superba scultura seguono una stessa linea armoniosa… Opera forte, densa di pensiero, ricca di un simbolismo delicato e nello stesso tempo severo”. E il mitico “The New York Times” dedica allo scultore un articolo di merito. È un’opera che piace agli intenditori americani: la classicità della testa della Medusa decapitata risalta alla vista del Perseo, fisso nella sua posizione centrale. Proprio in quel periodo l’artista avrebbe dovuto rimanere in quell’America che lo stava “lanciando”. Invece sarà costretto a tornare a Palermo, a causa della morte del padre. Il passaggio dell’arte di Geraci in America è testimoniato da alcuni lavori di decorazione per edifici come il Capitol Building, la Royal Academy of Art and Scienze, il Paradise Theater nel Bronx, la Riverside Church, conosciuta come Rockefeller Church, la Architectural League. Inoltre, espone in alcune Gallerie di New York tra cui: la National Gallery of Design, la National New York a Brooklyn e la Challon Gallery. Tra le opere di quel periodo: Pugili, che a tratti rimanda ad alcuni schizzi preromantici di pittori come Antoine-Jean Gros o a particolari studi preparatori alla Canova; “racconti” religiosi come quelli rappresentati nelle Lunette in Riverside Church ed una bronzea Ballerina, corrispondente ai canoni della dinamica futurista (un’attenzione analoga, al movimento dell’oggetto in relazione con lo spazio, la si riscontra in Arciere, dei primissimi anni ‘30).

Poi nuovamente l’Italia e Palermo dove, nel 1935, Nino Geraci ottiene la prima commissione pubblica: due figure in bronzo (Diana Cacciatrice e Mercurio) per la Sala del Consiglio del Nuovo Palazzo del Banco di Sicilia. Si susseguono lavori differenti tra loro, per l’ubicazione finale (sculture per esterni e per interni) e per le fattezze (dimensione, materiale, immagine riprodotta). Tra le numerose opere alcune gli vengono commissionate nel periodo fascista e quindi corrispondono ad una linea compositiva schematica, a tratti statica, mentre altre sono più armoniche, classiche nel loro rifarsi all’evoluzione del gesto artistico e della mutevolezza dell’equilibrio delle forme del dopo Policleto. Quindi da lavori come Icaro (1938), Mussolini (marmo degli anni ‘30) o Bozzetto per Monumento ai Granatieri di Sardegna del 1940, si passa a Maternità. E ponendo in parallelo differenti plasticità, dalla serie degli atleti dei primi anni ‘40 (Lanciatore del disco, Lanciatore del Giavellotto, Il vogatore) si giunge alle figure atletiche della fine degli stessi anni, come Tuffatore, il bronzo realizzato nel 1948 che si trova nel giardino antistante la piscina comunale di Palermo. Ed ancora: opere di stampo religioso come San Sebastiano del 1948, la Madonna della Conca d’oro del 1950, collocata sulla torre campanaria della Cattedrale di Palermo, la Pietà del 1955, the si trova nella navata sinistra della Chiesa di San Francesco d’Assisi a Palermo. Successivamente, sempre in relazione all’iconografia sacra, negli anni ’60 -‘70 realizzò alcune importanti opere. Tra tutte: San Michele Arcangelo (1965, Palermo, Chiesa di San Michele Arcangelo), la Deposizione con le tre Marie (il marmo, datato 1978, si trova all’interno della Chiesa Don Bosco a Villa Ranchibile, Palermo).

Geraci amava scolpire ascoltando musica, classica. Le sonorità di Mozart e Beethoven ben si abbinavano alla sua idea di scultore “michelangiolesco”. Neppure la paralisi alla mano e al braccio destro, che colpi il Maestro nella seconda metà degli anni ‘70, freno il suo intenso amore per il “gusto dell’arte”. Egli, per poter nuovamente esprimere la sua creatività, si fece persino costruire una sorta di ruota colma di attrezzi pesanti per potersi esercitare, con l’intento di riacquistare la sensibilità perduta. Poi inizio, casualmente, a scolpire con la mano sinistra quando, in visita ad un suo amico scultore, gli venne chiesto un parere su un ritratto: la scultura non soddisfaceva per nulla Geraci che afferrò con la mano sinistra gli “arnesi del mestiere” e scolpì. Ma, nonostante ciò, la tenacia caratteriale ed artistica di Geraci da allora fino alla morte, nel 1980, si bloccò, come la mano destra, paralizzata dagli eventi e, forse, dalla non coincidenza dei tempi.

“Dalla plastilina, al gesso, la sua mano non si arresta dinanzi alla difficolta della materia e cosa ormai rara fra i nostri artisti, prosegue la sua ispirazione d’arte lavorando sul marmo fino a compiuta realizzazione artistic (il Giornale d’Italia, 17 marzo 1937). È vero. La mano di Nino Geraci “…non si arresta dinanzi alla difficoltà della materia” va oltre creando immagini-espressioni dell’uomo. Egli osserva al di là dell’immediatezza visiva la figura umana e scolpisce, cercando equilibri tra il soggetto raffigurato (la scultura) e lo stato d’animo suggerito (psiche e interiorità della figura rappresentata). Geraci desidera e cerca la sfida con se stesso. Egli opera all’insegna di un equilibrio in cui la proporzionalità è parte integrante dell’insieme della lavorazione: la manualità e la tecnica si inseguono a vicenda. Nascono nudi, ritratti, atleti, che ci riportano alle lezioni dell’arte del passato, producendo lente mutazioni di figure che conservano il senso dell’unita. Egli guarda alla linearità Neoclassica, studia con passione i grandi del Rinascimento e, di tanto in tanto, lancia un occhiata ad artisti come Canonica, Martini, Wildt, Bistolfi e Rosso.

Conservatore ed innovatore, Geraci produce armonie. La tecnica si unisce alla sensibilità e la valenza estetica sembra bloccarsi, volutamente, all’iconografia. Il risultato: immagini contrastate dall’alternarsi di forze centripete e centrifughe in cui il movimento, a volte anche una lieve inclinazione del viso scolpito, si manifesta prima di tutto, superando calcolate dimensioni spaziali. Captando sensibilmente l’azione totalizzante del movimento, soprattutto osservando i diversi studi riguardanti gli atleti e le ballerine, il desiderio che sorge è quello di girare attorno all’opera. Ed ecco che il tempo pare fermo/immutato e tende, comunque, a suscitare, paradossalmente, immagini in azione (attività del corpo o del pensiero) che a volte sembrano “bloccate” da un flash fotografico della memoria. Così si delinea la personalità di Geraci e le componenti essenziali della sua arte: linea e decorazione.