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lunedì, Marzo 24, 2025
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La marcia trionfale del populismo, dalla Brexit ai nostri giorni.

La vendetta dei luoghi e delle persone che vi restano legate (per condizione di vita). Il saggio di Goodhart del 2017 scosse il governo di Teresa May con le previsioni sullo tsunami populista in arrivo.

Durante la crisi dei subprime ritornò a girare la famosa barzelletta sull’impassibile facoltoso milord, tutto finanza e affari, e il Tamigi. Sir legge tranquillamente il giornale nel suo studio che si affaccia sul fiume. Il maggiordomo bussa, entra ed annuncia: “Sir, il Tamigi è in piena”. Il nobile, affatto scomposto, risponde: “Bene James, tienimi informato”, e riprende la lettura. Dopo un po’ James bussa, apre la porta e annuncia: “Sir, il Tamigi sta per raggiungere il livello di guardia”. Sir, per niente preoccupato, replica: “Bene James, grazie, tienimi informato”, e riprende a leggere il giornale. Dopo un altro po’ James ritorna e annucia: “Sir, il Tamigi ha superato il livello di guardia”, e lui risponde “Bene, ho capito, grazie, vai pure”. Infine James bussa di nuovo, apre la porta e facendosi un poco da parte annuncia: “Sir, il Tamigi!”.

Questo a significare la sicumera del mondo dell’economia di carta davanti all’ingrossarsi della piena, fino alla tracimazione. La piena dei ‘somewhere’ davanti agli ‘anywhere’. Com’è potuto accadere?

“Cameron ha dato fuoco alla casa per salvare i mobili ed ha perso tutto”. Così Felipe Gonzales commentò l’esito del Referendum sulla permanenza della Gran Bretagna nell’Unione Europea e le dimissioni del Primo Ministro David Cameron, annunciate l’indomani chiosando: “Serve una nuova leadership al Paese” (si è poi visto com’è andata a finire). Il promesso – da Cameron – referendum che dette il via alla Brexit vide la vittoria di misura dei favorevoli all’uscita dall’UE con il 51,89%. La decisione popolare divenne operativa il 31 Gennaio 2020.

Il 13 Luglio 2016 a Cameron subentra Teresa May. La quale, il 24 Luglio del 2019, è sostituita da Boris Johson, “zazzera”, una sorta di Trump in salsa inglese. Ma ecco l’inaspettato: se Cameron aveva voluto verificare la febbre del malato, il giornalista e saggista David Goodhart rivela di che morbo si tratti.

A Settembre del 2017 esce il suo “The road to somewhere. The populist revolt and the future of politics”. E per il Governo di Teresa May parte l’allarme: il monte Toc sta scivolando nel bacino del Vajont e tra poco un’onda colossale travolgerà tutto. Goodhart non è uno qualsiasi. È stato corprispondente del Financial Times per dodici anni, in parte di stanza in Germania. Dal 2017 è a capo dell’unità Demografia, immigrazione e integrazione presso il think tank Policy Exchange. Ha scritto per The GuardianThe Independent e The Times. È stato uno dei quattro commissari del Consiglio della Commissione per l’uguaglianza e i diritti umani (EHRC), nominati nel Novembre 2020.Nel Febbraio del 2004 è il primo a scrivere che “la condivisione e la solidarietà possono entrare in conflitto con la diversità” (saggio pubblicato da Prospect con il titolo “Troppo diversi?”).  

The Road to Somewhere è la madre di tutte le battaglie: i ‘da qualche parte’ contro i ‘da qualunque parte’.

In Gran Bretagna esiste una faglia – scrive Goodhart – tra i ‘Somewhere’, quelle persone saldamente connesse a una comunità specifica, e cioè circa metà della popolazione, e gli ‘Anywhere’, coloro che di solito vivono in città metropolitane, che sono socialmente liberali, ben istruiti, magari in carriera, e con una superiorità remunerativa di non poco conto. Questi ultimi sono significativa minoranza, dal 20% al 25% della popolazione totale, ma con il disco verde avuto dalla globalizzazione e il ritiro degli Stati che ha fatto diventare regola le loro concezioni e i loro stili di vita, dominando sulla maggioranza.

Dice Goodhart che molti Remainers hanno riferito di essersi svegliati il giorno dopo il voto sulla Brexit con la sensazione di vivere in un paese straniero. “In realtà, stavano semplicemente provando la stessa sensazione che molti britannici provano ogni giorno da anni”.

I ‘Somewhere’ ottenevano la loro identità da un senso del luogo e dalle persone che li circondavano. Ora avvertono una perdita di tutto ciò e in primis l’attribuiscono all’immigrazione di massa e al rapido cambiamento sociale.  È così che si è andata formando l’armageddon degli Stanziali, quelli che si ritengono ingannati dalla globalizzazione e dai politici, contro i Mobili, che vivono trascinandosi un trolley su e giù per le scalette degli aerei e vogliono dettare l’agenda economico-finanziaria, e anche modelli sociali, al mondo.

I Somewhere, cioè i “Da qualche parte”, quel cinquanta per cento di persone che vive dov’è nato, che pensa prima ai vicini di casa che ai rifugiati, che non ha qualifiche particolari ma che un tempo aveva una dignità; ecco, questo cinquanta per cento della società ora si ritrova continuamente vilipeso dall’altra tribù, gli aristocratici Anywheres, ovvero i “Da qualunque parte”, quelli che hanno i diplomi e la conoscenza per stare bene ovunque, e che pur essendo meno della metà dei primi dettano l’agenda politica.

Ma a quando può essere fatta risalire la covata di questa marcia trionfale? Vengono in mente diverse ricostruzioni, vista la molta letteratura in merito. Innanzitutto Zygmunt Bauman e la solitudine del cittadino globale. Poi le illusioni del capitalismo tecno-nichilista esplorate in maniera illuminante da Mauro Magatti. Qui a livello di periodi originari ne citiamo due: gli inizi degli Anni ’80: “Un’altra storia. Se 40 anni di Thatcher e Reagan vi sembran pochi…”, di Roberto Di Giovan Paolo (Ytali, 2022); e l’89 e la caduta del Muro di Berlino: “Problemi in paradiso”, di Slavoj Źiźek (Ponte alle Grazie, 2015).

Chi sono quelli che battezzano l’inizio dell’era globalista? Li possiamo individuare in Ronald Reagan (e il suo Elon Musk dell’epoca l’ultra liberista Milton Friedman, il quale arrivava a dire che chi può fa bene a cercare di evadere le tasse) e Margaret Thatcher (“Il miglior uomo d’Inghilterra” nella famosa battuta del Presidente americano). Celebri alcuni loro passaggi: “Lo stato non è la soluzione dei problemi, lo stato è il problema” (1981, Reagan), e il conosciutissimo “La società è una cosa che non esiste (1987, Thatcher).

Per quanto riguarda il Muro, la sua caduta venne descritta come “la fine della Storia” (Fukuyama) e l’ingresso in un paradiso felicemente lastricato dal capitalismo. Ma la Storia come si sa riserva sorprese, e se la si voleva uscita definitivamente di scena dalla Porta di Brandeburgo essa vi rientra dodici anni dopo dalle finestre in fiamme delle Torri Gemelle. “Che fine ha fatto questo paradiso?” – si domanda Źiźek – “Lo vedete da qualche parte? La crisi globale produce da noi gli eterni precari, la tragica disoccupazione giovanile, la demolizione del welfare, la gigantesca evasione fiscale, la crescita di povertà e disuguaglianza; altrove, decine di guerre, centinaia di milioni di schiavi (letteralmente schiavi, più che in qualsiasi altro periodo dell’umanità) e miliardi di sfruttati”. 

Alla famosa formula/ricetta T.I.N.A. della Thatcher, ovvero “There Is Not Alternative” (espressione del dominio globale del Mercato, fuori non essendoci nulla), è appunto subentrato dirompente l’antidoto del populismo. Con le conseguenze che sappiamo.