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LA NON POLITICA DEI PARTITI PERSONALI: IMPOSSIBILE ACCETTARNE LA LOGICA E IL MODELLO ORGANIZZATIVO.

È indubbio che chi vuol portare il proprio contributo politico e culturale nei partiti personali è del tutto fuori strada. Inutile sforzarsi di costruire organizzativamente un soggetto politico democratico, collegiale, radicato nel territorio ed espressiva a livello sociale e culturale. Dunque, l’area popolare – notoriamente abituata a convivere con il pluralismo, con la democrazia e con il confronto politico e culturale continuo e costruttivo – difficilmente potrà coabitare con partiti personali.

 

Diciamoci la verità. Nei partiti personali la politica semplicemente non esiste. Lo dico non per polemica politica o per pregiudizio atavico ma perchè i due elementi sono incompatibili. O meglio, per essere più chiari e meno generici, la politica esiste – eccome se esiste – ma è quella esplicitata e declinata esclusivamente dal “capo”. Non esiste dibattito, pluralismo e confronto interno se non il verbo rappresentato dal leader assoluto. Non a caso, è appena sufficiente ricordare che proprio nei partiti personali i parlamentari – soprattutto con un sistema elettorale che permette la designazione centralistica dei capi partito – vengono indicati e “nominati” direttamente dal capo. E così vale sia per i vertici del partito nazionale che per la scelta dei segretari regionali.

Le assemblee del partito, sempre molto ampie nonchè ornamentali, hanno il solo ruolo di ratificare le scelte già decise dal capo. Le stesse scelte politiche fondamentali vengono filtrate dal capo partito seguite dall’approvazione finale delle assemblee pletoriche. Ora, è indubbio che chi vuol portare il proprio contributo politico e culturale nei partiti personali è del tutto fuori strada. Anzi, è consigliabile che rinunci a priori perchè corre il serio rischio di ridicolizzare lo stesso patrimonio culturale che pensa di interpretare e di rappresentare attraverso un movimento, un gruppo o una semplice associazione.

Insomma, la natura e il profilo del partito personale non sono semplicemente compatibili con il valore del pluralismo perchè il confronto tra opinioni diverse non è contemplato se non per applaudire e osannare il capo. Diventa, pertanto, del tutto inutile sforzarsi di costruire organizzativamente un partito democratico, collegiale, radicato nel territorio ed espressivo a livello sociale e culturale quando poi, il tutto, viene sacrificato sull’altare della venerazione del capo. E, senza elencare moralisticamente i nomi e i cognomi dei capi partito, tutti conosciamo a destra, a sinistra e soprattutto al centro quali sono questi partiti. Dar vita ai cosiddetti “patti federativi” con i partiti ad impianto personale è pressoché impossibile perchè, appunto, non contemplano al proprio interno il pieno ed autentico riconoscimento del pluralismo culturale. Non a caso i documenti e le mozioni che vengono approvati da questi partiti non prevedono mai la messa in discussione del capo ma, al contrario, il riconoscimento indiscutibile della loro leadership accanto ai soliti appelli all’allargamento della base sociale e culturale del partito.

Per questi motivi, semplici ma decisivi, l’area popolare – notoriamente abituata a convivere con il pluralismo, con la democrazia e con il confronto politico e culturale continuo e costruttivo – difficilmente potrà coabitare con partiti personali e del capo dove l’unico compito da assolvere, per dirla con Norberto Bobbio, è “la democrazia dell’applauso”.

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