Ogni qualvolta la politica scende di livello prevalgono altri disvalori: dallo spietato attacco personale all’assenza di contenuti; dal trasformismo strisciante al becero opportunismo. Sono tutti ingredienti che noi possiamo quotidianamente sperimentare nel concreto dibattito politico. Certo, ci sono antiche consuetudini, prassi e culture politiche più attrezzate su questo terreno. Soprattutto, per restare nello specifico, sul versante dell’attacco personale ad un determinato esponente politico. Il tutto, oggi, è purtroppo anche alimentato da una nefasta e sempre più squallida radicalizzazione del conflitto politico che individua nell’avversano politico un nemico implacabile da distruggere se non addirittura da annientare. Prima sul versante morale e poi su quello politico. Ora, dato per scontato che viviamo in una fase storica che risente ancora, e pesantemente, degli effetti del populismo anti politico, qualunquista e demagogico del 5 Stelle, è altrettanto indubbio che i violenti e spregiudicati attacchi personali nella politica italiana sono sempre esistiti. Più o meno violenti e più meno selvaggi. Ma, comunque sia, e sempre stata una costante. Ne sanno qualcosa, anche se su questo fronte manca ancora una precisa e puntale ricostruzione storica e giornalistica, i grandi leader e statisti democratici cristiani. Al riguardo, mi ha sempre colpito una frase pronunciata da Sandro Fontana, storico, intellettuale e dirigente politico della Democrazia Cristiana – nonché ideologo della “sinistra sociale” di Forze Nuove – quando, ricordando Carlo Donat-Cattin a dieci anni dalla sua scomparsa, in un convegno che si svolse a Torino nel 2001, disse che “Nessuno, come ovvio, può sapere dove oggi si collocherebbe politicamente Carlo Donat-Cattin. Ma una cosa è certa: sicuramente non starebbe con i suoi carnefici. Ecco, Fontana usava talvolta termini forti per presentare con maggiore chiarezza il suo pensiero. Ma quella riflessione, a molti anni di distanza, conserva ancora una sua bruciante attualità e modernità. Per la semplice ragione che proprio Donat-Cattin, per citare un solo caso – ma forse uno del più eclatanti e conosciuti nel corso della prima repubblica – fu semplicemente criminalizzato politicamente dai suoi avversari/nemici. Cioè dagli esponenti storici del Pci. Per molto tempo, a più riprese e su svariati temi. Dalla questione riguardante la sua drammatica questione personale e privata alla sua gestione del Ministero della Sanità: dalla scelta del “preambolo” al congresso della Dc del 1980 alla tenace volontà di escluderlo dalla lista del Ministri perché impresentabile a fine anni 70. Per ricordare solo alcuni eventi di maggior importanza.
E parliamo, come noto a tutti tranne, credo, agli eredi del Pci, di un leader storico della vecchia Democrazia Cristiana e di un riconosciuto e raffinato statista.
Ecco, ho voluto ricordare questo aneddoto per arrivare ad una semplice conclusione. Oserei quasi dire oggettiva. E cioè, la strategia dell’attacco personale, della demolizione delle persone e della loro ridicolizzazione non nasce solo con la virulenza, la violenza verbale e la spregiudicatezza della politica. Ha radici lontane che affondano in una precisa e circoscritta cultura politica. Un metodo ed una prassi, seppur nefaste per la qualità della nostra democrazia che, purtroppo, continuano ancora a serpeggiare con forza e determinazione nel sottosuolo – e non solo nel sottosuolo – della politica e del giornalismo militante del nostro paese.