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venerdì, 20 Giugno, 2025
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La politica estera non nasce dalla piazza

Il prestigio internazionale di una nazione si misura sulla continuità delle scelte, non sulle pregiudiziali ideologiche dei cortei. Tutto si può fare in un Paese democratico, tranne essere incerti, balbettanti, pericolosi o inquietanti.

La politica estera, da sempre, è lo spartiacque decisivo che conferma, o meno, la credibilità di un Paese a livello europeo ed internazionale. E, soprattutto, è la leva decisiva che qualifica una coalizione o una alleanza politica e di governo di un Paese. Per non parlare, come ovvio e persino scontato ricordare, che sulla politica estera si gioca anche e soprattutto la postura e l’autorevolezza di una classe dirigente sul versante nazionale.

Ora, siamo tutti perfettamente consapevoli che viviamo in una stagione dominata da molteplici turbolenze e che vede mettere in progressiva e persino radicale discussione i postulati essenziali su cui si era poggiata la nostra tradizionale politica estera. A cominciare dalla poca tensione e cultura europeista presenti in molte forze politiche – soprattutto quelle di marca populista e demagogica come i 5 Stelle e la Lega di Salvini e nei partiti estremisti ed ideologici come quello del trio Fratoianni/Bonelli/Salis – e, soprattutto, con la crescente distanza nei confronti dei cosiddetti “valori occidentali”. Elemento, questo, sistematicamente rispedito al mittente dal “nuovo corso” del PD della Schlein.

Ed è proprio di fronte a questo scenario che si moltiplicano i dubbi e le perplessità sul futuro della nostra politica estera. Perché se l’attuale Ministro degli Esteri e la Presidente del Consiglio su questo versante riscuotono un sostanziale consenso a livello europeo ed internazionale, c’è da essere seriamente preoccupati di fronte all’organizzazione di manifestazioni di piazza che vengono promosse da alcune forze politiche della sinistra populista, ideologica e massimalista e supportate dal solito stuolo editoriale, giornalistico e televisivo.

Iniziative che, al di là della propaganda e delle solite parole d’ordine, hanno alcuni nemici chiari e ben definiti. Dalla radicale ostilità nei confronti degli Stati Uniti d’America, che si è ulteriormente rafforzata con l’elezione di Donald Trump, alla sostanziale criminalizzazione di Israele. Che va oltre l’odio comprensibile nei confronti del suo attuale governo. Dal poco se non nullo entusiasmo delle scelte politiche che sono state intraprese dai vari Paesi europei sul capitolo della difesa comune del Vecchio Continente, alla misteriosa simpatia – pur se non direttamente esplicitata – nei confronti del dittatore russo. Dal silenzio, sempre più imbarazzante, sulla spietata dittatura teocratica iraniana, alle perplessità sull’appoggio finanziario alla “resistenza” ucraina.

E, del resto, la manifestazione che si svolgerà domani a Roma raccoglie molte di queste sollecitazioni e di altre ancora che provengono dal vasto mondo associazionistico che appoggia concretamente queste formazioni politicamente estremiste e massimaliste.

Ora, ed è questo il punto politico di fondo, che si tratti di una sensibilità politica radicalmente alternativa rispetto a quella che è stata perseguita per 50 anni nella Prima Repubblica grazie al ruolo decisivo e determinante della Democrazia Cristiana non c’è alcun dubbio. Politica che è stata proseguita anche per molto tempo durante la cosiddetta Seconda Repubblica. Ma il dato che preoccupa, e che inquieta, è se queste forze politiche dovessero un domani approdare al Governo.

Per dirla in termini più chiari: quale sarebbe il progetto di politica estera che sarebbe concretamente perseguito? Quali sarebbero i Paesi con cui ci si allea a livello internazionale? Quale sarebbe lo scudo internazionale a cui aggrapparsi in un contesto mondiale dominato dai rapporti di forza e da Paesi dittatoriali ed imperiali che fanno dell’investimento negli armamenti il loro “core business”? E infine, ma non per ordine di importanza, la politica estera di un Paese come l’Italia nasce sempre e comunque solo attraverso il ricorso alla piazza?

Sono domande, queste, che richiedono una riflessione e, soprattutto, una risposta politica concreta e rassicurante. Perché tutto si può fare in un Paese democratico, tranne essere incerti, balbettanti, pericolosi o inquietanti sul versante della costruzione della politica estera. È sempre stato così e sarà sempre così.