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martedì, Febbraio 11, 2025
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La preghiera di Sila: un Natale senza risposte nella striscia di Gaza.

La storia di Sila, una neonata strappata alla vita dal freddo e dalla guerra, ci ricorda il costo umano di un mondo che non sa proteggere i più deboli.

Sembra che il numero 3 abbia portato fortuna solo una volta. “…il terzo giorno risuscitò da morte” recita l’orazione del Symbolum. Per il resto, ha testimoniato tradimenti o morte in compagnia di altri. Per non smentirsi ci ha detto qualcosa anche in questi giorni, richiamando la nostra attenzione piuttosto impegnata in libagioni e festeggiamenti.

E’ accaduto che nel campo profughi di Muwasi, nei pressi di Kahn Younis, una neonata sia morte di freddo. Non poteva che accadere da quelle parti, un luogo con una certa predestinazione. 

Secoli addietro un emiro turco che portava appunto quel nome, vi costruì un centro di accoglienza per pellegrini e viaggiatori, un luogo di protezione e di inevitabile confusione. Fece una brutta fine morendo ammazzato in battaglia. La guerra è da sempre in agguato in certe aree del mondo.

Qua la damnatio memoriae non funziona, il tempo non cancella i segni del passato, del sangue sparso del bravo fondatore di quella città e del disordine proprio di quando si dà ingresso e ospitalità a viandanti di ogni tipo alla ricerca di ristoro e di un riparo.

Sila è il nome della bimba che è andata a fare compagnia agli angeli. Aveva soltanto 3 settimane e chiude il cerchio con altre due creature che giorni prima hanno fatto la stessa fine sempre per mano del gelo che in totale conta 3 sue vittime mettendo in campo una temperatura di 9 gradi, di nuovo un multiplo di 3.

“SIla” par che voglia dire “di ferro”, quindi una creatura temprata alle avversità e pertanto forte da resistervi. Ciò malgrado la sua pelle si è dimostrata del tutto fragile, incapace di far scudo ad una guerra che non ammette rifornimenti adeguati a chi è costretto in quella terra. Un’aria di ghiaccio non l’ha presa di striscio, anzi avvolgendola per l’intero, cristallizzandone il respiro.

Non ci sono abbastanza coperte per riscaldare i corpi dei piccoli o legna per stemperare il freddo pungente del giorno e della notte, non c’è verso di mettere sotto coperta la morte di un innocente o di bloccare il tremore per un destino tremendo che sta compiendo la sua impassibile missione.

In quelle zone c’è la miglior sala di ingresso per la morte che può scapricciarsi senza darsi troppi pensieri, libera di agire con successo anche senza proiettili e sparatorie.  

Ora se ne parla, la notizia ha fatto un certo clamore. Per stare sulla cronaca si richiede un fatto tragico ed anche inconsueto. Gli altri bimbi finiti in tombe di fortuna a causa di fame, malattie o di bombe sono da mettere invece nel normale conto di una guerra che porta in dote la sua merce di un dolore che non deve dare scandalo.

Il solo modo di darsi pace, avrà avvedutamente pensato di chi ha causato stenti a quel campo di derelitti, è quello di far gelare il cuore dei bimbi in modo che possano scongelarsi quando i tempi saranno migliori, quando insomma il sale della terra tornerà ad avere un senso positivo, quando Sala e i suoi amici avranno un luogo per sorridere senza strapparsi di conseguenza la faccia per una fiducia mal riposta per la vita.

Intanto, in Paradiso c’è un traffico da caravanserraglio che non si ricorda dai tempi di Hitler e compagni. Ingressi a più non posso: c’è persino chi è contento di essere morto, felice della pace finalmente conquistata.

San Pietro non fa domande di amissione a chi ha appena imparato a respirare, apre le porte di ingresso della casa tentando di ricordare le ninna nanna di quando era piccolo.

Non può dire al Sole di essere più generoso perché resterebbero comunque gli uomini con i loro strumenti a percussione a rovinare la festa.

Ripete più volte una nenia per fanciulli così che gli angeli la imparino a memoria e si diano da fare.

Questo è un Natale eccezionale, diverso dagli altri. Corre voce che sia morto di freddo Gesù Bambino. Per l’anno prossimo poi si vedrà.