Limiti e perplessità sull’autonomia differenziata

È una espressione che inquieta. La differenza fa paura perché separa. Ecco, l’autonomia differenziata inquieta perché rimarca e consolida le differenze, minacciando l’unità sociale ed economica della Repubblica.

Il Senato ha recentemente approvato il ddl sull’autonomia differenziata, che attua l’articolo 116 della Costituzione. L’autonomia differenziata è una espressione che inquieta. Ad intimorire è l’aggettivo differenziata, che rimanda alla parola differenza. Il termine deriva dal latino differentia, utilizzato per la prima volta da Cicerone per rendere il greco diaphord, che vuol dire proprio

differenza. Il termine, composto dal preverbio dif – aggiustamento fonico di dis, elemento che indica separazione – e da ferentia, sta a significare qualcosa che divide, separa, perché “porta uno da una parte e l’altro dall’altra”.

La differenza fa paura perché separa. L’autonomia differenziata inquieta perché rimarca e consolida le differenze, minacciando l’unità sociale ed economica della Repubblica.

Il ddl messo a punto dal ministro Calderoli intende dare attuazione a quanto previsto dal terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione, secondo cui “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su istanza della Regione interessata”.

Con la riforma del Titolo V della Costituzione è stato ridisegnato l’assetto istituzionale della Repubblica. È stato previsto, infatti, un elenco tassativo di materie o gruppi di materie di esclusiva competenza statale ed un elenco di materie oggetto di potestà legislativa concorrente Stato-Regioni, rispetto alle quali lo Stato mantiene solo il potere di determinare i principi fondamentali cui deve improntarsi l’attività normativa. Ebbene, il ddl Calderoli prevede una drastica riduzione delle materie di competenza esclusiva dello Stato: le Regioni potranno chiedere il trasferimento di funzioni in ben ventitré materie, allo stato attuale di competenza legislativa concorrente. Con la conseguenza che potranno esserci, ad esempio, tante discipline sull’organizzazione della giustizia di pace, sull’istruzione, sulla tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali quante saranno le Regioni che chiederanno ed otterranno l’autonomia differenziata.

C’è di più: l’autonomia differenziata prevede la possibilità di trattenere parte del gettito fiscale generato sul territorio per il finanziamento dei servizi e delle funzioni di cui si chiede il trasferimento. In questo modo si attuerebbe un vero e proprio ritorno al centralismo, che mal si concilia con il principio dell’autonomia finanziaria sancito dall’articolo 119 della Costituzione che ha determinato il passaggio dalla finanza derivata alla finanza decentrata con una maggiore responsabilizzazione degli amministratori.

Altro punto fondamentale del ddl Calderoli è rappresentato dall’attribuzione di ulteriore autonomia alle Regioni subordinatamente alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, i cosiddetti LEP. La determinazione dei LEP rientra nell’alveo della legislazione esclusiva dello Stato. Ciò in quanto la loro funzione è la tutela della coesione sociale della Repubblica, perché devono essere garantiti in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale. In base alla Costituzione, la determinazione dei LEP deve avvenire da parte dello Stato nel rispetto e sulla base del principio di leale collaborazione tra Stato e Regione.

La Corte costituzionale, con sentenza n.220 del 2021, ha stabilito che il ritardo nella definizione dei LEP rappresenta un ostacolo alla piena realizzazione dell’autonomia finanziaria degli enti territoriali e al superamento dei divari territoriali nel godimento delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.

I padri costituenti, al momento della redazione della Costituzione, recependo gli insegnamenti di Santi Romano, hanno garantito l’unità attraverso la pluralità degli ordinamenti giuridici. L’articolo 5 della Costituzione sancisce, infatti, il principio dell’unità e, nel contempo, quello del decentramento amministrativo. Unità attraverso la pluralità assicurate per il tramite del principio solidaristico, fissato all’articolo 2 della Costituzione, e il principio di uguaglianza, declinato nella duplice forma dell’uguaglianza formale e dell’uguaglianza sostanziale. Ebbene, il ddl Calderoli garantisce il principio solidaristico? E quello di uguaglianza, che significa: trattare le differenze in maniera uguale?

Innanzitutto, non è chiaro come si possa garantire il principio solidaristico considerato che le Regioni, d’intesa con lo Stato, potranno trattenere una parte rilevante del gettito fiscale, e tenendo presenti le difficoltà nella determinazione dei LEP. Qualora dovesse superarsi lo scoglio della loro determinazione, rimarrebbe sempre quello del loro finanziamento. Ancora: come si può garantire l’unità attraverso la pluralità per il tramite del principio di uguaglianza? Non certamente attraverso il trasferimento di funzioni in materie che rientrerebbero nella competenza (di fatto esclusiva) delle Regioni accentuando le differenze, nella forma delle diseguaglianze sociali ed economiche.

Ecco perché la differenza di questa autonomia inquieta. Da qui, l’esigenza di recuperare i valori del personalismo comunitario e trasfonderli in un progetto politico che guardi al cattolicesimo per offrire una base morale allo sviluppo sociale e culturale, prima ancora che economico, del Paese.