La rivolta della borghesia nel voto a destra del 1994

Dopo le dimissioni di Martinazzoli, “Il Popolo” diventa la sede per indagare le ragioni del voto. A riguardo, il 6 aprile Sangiorgi firmava un’editoriale interessante (“Un moto borghese”), di cui riportiamo uno stralcio.

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Alle elezioni del 27 e 28 marzo il Partito popolare ha raccolto nella quota proporzionale oltre 4 milioni di voti.Proposto così, nelle sue cifre assolute, il risultato resta tuttaltro che marginale. Perciò la nostra collocazione non può essere ridotta a un problema solo di schieramento.Non labbiamo fatto prima delle elezioni, sarebbe paradossale dividerci adesso su tale questione. Adesso che, per coerenza con le scelte compiute abbiamo pagato un prezzo così alto nuovo al meccanismo maggioritario. Ilproblema delle alleanze esiste e dobbiamo tenerlo presente fin dora, ma cominciando a fare bene lopposizione.

Che cosa ci ha detto il voto di fine marzo? Che tutta una parte della borghesia del paese si è rivoltata contro il vecchio sistema politico. Una borghesia dellimprenditoria, del risparmio, delle professioni, dellapparato pubblico privato. Più la media e piccola borghesia del paese, e non la grande. E infatti gli Agnelli, i De Benedetti, i Visentini da quale parte stavano? Una borghesia che da tempo si sentiva stretta in un contesto generale nel quale pure era cresciuta ma che non funzionava più…Che si sentiva oppressa, anche il piccolo operatore di più diversi settori, da logiche inefficienti, spesso superabili solo attraverso il sistema del padrinato e della corruzione. E che avvertiva invece al suo interno una grande voglia di semplificazione, di creatività e di capacità di esprimersi.

È qui che la rivolta contro il vecchio si è legata a unidea di cambiamento e di novità. Perché in tanti hanno creduto di vedere in Bossi, in Fini e soprattutto in Berlusconi i simboli, gli emblemi di questa possibilità di movimento. Solo in parte il voto è stato la richiesta miracolistica di una soluzione dallalto dei problemi, la domanda di protezione di interessi egoistici e laffrettarsi trasformistico sul carro del vincitore. Dobbiamo fermare di più la nostra attenzione sul desiderio, sullaffermazione di questa vasta borghesia di voler assumere un ruolo di classe dirigente; e di volerloesercitare in una condizione generale più moderna e più rapida di leggi, di burocrazia, di amministrazione, contro un dirigismo lento e solo in parte utilmente assistenziale.Risposte concrete a quotidiani bisogni concreti. Questo è stato nelle sue migliori intenzioni, il grande moto borghese del 27 e 28 marzo. Quello che ha prodotto la differenza, come il carico nella stiva che smuove di qua o di là la nave.Lidea, il credere di conquistare finalmente più spazio per la propria capacità di iniziativa, la raccomandazione del merito contro quella del padrinato.

Certo che tutto ciò è in parte una illusione. Che in parte tutto ciò nasconde una debolezza e una responsabilità proprio della borghesia italiana nel non aver contribuito a costruire gradualmente il processo delle novità del Paese.Ma sta di fatto che adesso questa speranza si è manifestata con forza, ed è sorta contro il vecchio sistema e fuori di esso, immaginando di aver trovato altri riferimenti.Riferimenti più estemporanei che credibili e autorevoli, ma egualmente ritenuti da una maggioranza di italiani quelli possibili, quelli degni di maggiore fiducia, salvo la squallida prova di sé che tali riferimenti hanno subito cominciato a dare dopo il voto.