Oggi l’ascesa del nazionalcapitalismo tra le classi dirigenti è frenata da due ostacoli. Il primo è che è cessato il “pericolo comunista”, che ebbe un ruolo chiave nei divorzi tra capitalismo e democrazia sia tra le due guerre mondiali sia durante la Guerra fredda. Il secondo è che oggi l’élite del capitalismo è globalizzata. La concentrazione del potere economico e dell’influenza politica si trova nella finanza e nelle industrie immateriali (telecomunicazioni, mass media, intelligenza artificiale ecc.). Per costoro la (ri)nazionalizzazione del capitalismo è un pericolo serio. E dall’altra parte del fronte questo scontro viene molto ben volentieri enfatizzato attraverso la retorica contro le élite cosmopolite, antipopolari, senza patria (e senza Dio).
I leader d’ispirazione nazionalcapitalista alla guida di Paesi occidentali, finora, non hanno prodotto i disastri economici previsti dagli economisti mainstream. Ciò è dovuto solo in parte alla moderazione delle promesse elettorali insita nelle responsabilità di governo. Tuttavia il loro modello di ricomposizione sociale sotto il grande mantello protettivo della Nazione è contraddittorio in quanto esso stesso crea nuova polarizzazione e frammentazione. La valvola di sfogo del debito pubblico crea instabilità finanziaria ed erode la sovranità nazionale, soprattutto per i Paesi membri dell’Unione europea.
A favore dei nazionalcapitalisti giocano però le contraddizioni create e lasciate dal capitalismo globalizzato. Per giunta la pandemia Covid-19 e la guerra della Russia all’Ucraina (che pure qualcosa hanno a che fare con una globalizzazione non governata) hanno fatto precipitare le condizioni per la “deglobalizzazione”, ossia una ristrutturazione dell’economia mondiale per blocchi geopolitici, tracciati secondo criteri di sicurezza strategica nazionale, in cui le pure logiche di mercato sono messe in secondo piano. Su questo fronte sono eloquenti alcuni passi compiuti anche dall’amministrazione Biden.
In questo quadro una parte importante della classe dirigente economica, con il pragmatismo “né di destra né di sinistra” che la contraddistingue, può diventare nazionalcapitalista, o lo sta già diventando, specie nei Paesi dove sono meno presenti i settori globalizzati ricordati prima, e meno consolidati sono gli stili di vita libertari e cosmopoliti, come l’Italia e la fascia orientale dell’Unione europea. La linea rossa dei principi democratici non negoziabili che il nazionalcapitalismo non deve oltrepassare potrebbe spostarsi sempre più in là, e magari dissolversi.
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