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La solitudine di Paolo VI dopo la pubblicazione dell’enciclica Humanae vitae.

La pubblicazione dell’enciclica scatenò un movimento di rivolta tra i teologi cattolici. Il testo che segue è la parte finale della relazione tenuta al XIX Corso dei Simposi rosminiani (21-24 agosto 2018).

[…] L’enciclica Humanae vitae (datata del 25 luglio 1968) escludeva l’uso dei metodi di contraccezione per i coniugi cattolici. «Nel compito di trasmettere la vita – ricordava il papa – essi non sono quindi liberi di procedere a proprio arbitrio, come se potessero determinare in modo del tutto autonomo le vie oneste da seguire, ma, al contrario, devono conformare il loro agire all’intenzione creatrice di Dio, espressa nella stessa natura del matrimonio e dei suoi atti, e manifestata dall’insegnamento costante della Chiesa» (n. 10). «Dio ha sapientemente disposto leggi e ritmi naturali di fecondità che già di per sé distanziano il susseguirsi delle nascite. Ma, richiamando gli uomini all’osservanza delle norme della legge naturale, interpretata dalla sua costante dottrina, la chiesa insegna che qualsiasi: atto matrimoniale deve rimanere aperto alla trasmissione della vita» (n. 11). 

L’enciclica generò una valanga di critiche dentro e fuori la Chiesa. «Non mai abbiamo sentito come in questa congiuntura il peso del Nostro ufficio» dichiarò Paolo VI, visibilmente provato, durante la prima udienza generale dopo la pubblicazione del testo. Più ancora che la sostanza dell’enciclica, che non faceva che richiamare la dottrina tradizionale della Chiesa sulla morale coniugale e la contraccezione, era piuttosto il modo con il quale fu preparata e presentata che venne duramente criticato. La procedura di elaborazione dell’enciclica, almeno nella sua fase finale, molto «personale» e relativamente opaca, sembrava ben lontana dallo «spirito del concilio Vaticano II» basato sulla consultazione e la collaborazione tra il papa e i vescovi, tra il magistero e i teologi. 

La pubblicazione dell’enciclica scatenò un movimento di rivolta tra i teologi cattolici. Il meno che si possa dire è che la quasi coincidenza della sua pubblicazione durante l’estate con gli avvenimenti della primavera non facilitò la sua ricezione. Alla fine di luglio, un appello firmato da oltre duecento teologi invitava i cattolici a disobbedire all’enciclica di Paolo VI. Il punto culminante della protesta fu la pubblicazione, nel dicembre 1968, di una dichiarazione sulla libertà della ricerca teologica, firmato da trentotto teologi appartenenti al gruppo della rivista Concilium. Mentre voleva essere un appello per la libertà dei teologi nella Chiesa, la dichiarazione affermava senza mezzi termini l’esistenza di una forma di magistero «scientifico» parallelo a quello «pastorale» esercitato dal papa e dai vescovi: 

«Noi affermiamo con convinzione che c’è un magistero del Papa e dei vescovi, che, sotto la Parola di Dio, è al servizio della Chiesa e del suo insegnamento. Ma sappiamo nello stesso tempo che questo magistero pastorale di insegnamento non può né ignorare né ostacolare la missione dell’insegnamento scientifico. Ogni forma di inquisizione, pur sottile che possa essere, pregiudica lo sviluppo di una sana teologia e nuoce molto, del resto, alla credibilità di tutta la Chiesa nel mondo d’oggi». 

Sebbene sconvolto da queste reazioni negative, Paolo VI scelse di non rispondere. Nel suo discorso di fine anno al Sacro Collegio, si limitò a «prendere nota» di ciascuna di esse, «con il rispetto che a tutti portiamo e con il proposito di non lasciar mancare, quando ne sia il momento, le risposte che apparissero necessarie, specialmente sul piano di pastorali preoccupazioni». Il papa non accolse l’invito del cardinale Karol Wojtyla, di cui il ruolo effettivo nella stesura dell’enciclica esce fortemente ridimensionato dall’indagine di Marengo, di pubblicare una “Istruzione pastorale” destinata a riaffermare l’autorevolezza della dottrina di Humanae vitae di fronte al movimento di contestazione. Alla fine del ’68, Paolo VI era diventato più che mai un uomo solo. Con le sue decisioni e i suoi insegnamenti, aveva manifestato con coraggio che lo spirito rinnovatore del concilio Vaticano II non poteva essere confuso con la spinta libertaria del movimento di contestazione dell’anno più difficile di tutto il suo pontificato.

 

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