Ernesto Galli Della Loggia è, ormai da molti anni, un attento osservatore della politica italiana. Di tradizione socialista resta uno dei commentatori più acuti e più profondi delle dinamiche che attraversano la politica contemporanea. Anche quando si deve fare i conti con una politica decadente e senza un pensiero, come quella di oggi, che ne inibisce alla radice ogni prospettiva e ogni visione capaci di scrutare ciò che si muove all’orizzonte. E, di conseguenza, incapace di disegnare e di progettare il futuro. 

Ma, dato a Cesare quel che è di Cesare, è altrettanto indubbio che la lettura che l’illustre politologo ha vergato sul Corriere della Sera dopo il voto umbro rischia di cadere in radicati pregiudizi culturali, e quindi politici, che non possono essere condivisibili. O meglio, che sono fortemente discutibili. Mi riferisco, nello specifico, quando trasmette la sostanziale sottovalutazione di tutto ciò che è riconducibile alla storia, all’esperienza e al ruolo dei cattolici popolari e democratici nel nostro paese. Dice Galli Della Loggia che il voto umbro ha chiuso definitivamente la prima repubblica, ha sancito la fine del catto comunismo, ha evidenziato l’irrilevanza dei cattolici democratici e, dulcis in fundo, ha decretato la futura egemonia del centro destra a trazione leghista a livello nazionale paragonandola addirittura alla riedizione, seppur aggiornata e rivista, di una nuova Democrazia Cristiana. Con l’apporto dell’appendice liberale ed europeista di Forza Italia, della destra sovranista della Meloni e, aggiunge, forse anche con un potenziale fianco sinistro rappresentato dal partito renziano. 

Ora, al di là dello scenario futuro tratteggiato dall’autore, è indubbio che la presenza politica dei cattolici democratici e popolari – comunque niente a che vedere con il catto comunismo o simili derivati – non ha brillato in questi ultimi anni per la sua concreta incidenza nella cittadella politica italiana. Anche se molto invocato e auspicato, questo filone ideale e politico – per responsabilità dei suoi leader e di tutti coloro che vi si riconoscono – non ha saputo rideclinare un progetto politico in grado di dare un contributo decisivo per il futuro della nostra democrazia e per la stessa esperienza di governo. Come fece in altre stagioni stoiche. E’ appena sufficiente ricordare, al riguardo, l’esperienza cinquantennale della Democrazia Cristiana e anche la breve parentesi del Partito Popolare Italiano a metà degli anni ’90 per arrivare alala conclusione che in questi ultimi anni c’è stato un patologico deficit di assenza pubblica di questo glorioso e fecondo patrimonio culturale, politico e forse anche etico. Ma, fatto questo inciso, come si può paragonare l’esperienza leghista e della attuale destra italiana con la Democrazia Cristiana e, magari, fare di Salvini il nuovo De Gasperi? L’avversione per il cattolicesimo politico e la derisione dei cattolici popolari non può e non deve arrivare a questo punto, pena il travisamento della stessa storia politica del nostro paese. Salvini è, indubbiamente, un abile politico e un altrettanto abilissimo comunicatore. Perfettamente funzionale alle regole che presiedono caratterizzano l’attuale politica italiana. Ma un dato è certo, con buona pace dei suoi estimatori e degli stessi detrattori della Dc. E cioè, l’attuale progetto politico della Lega e della destra è sideralmente lontano da tutto ciò che, seppur lontanamente, è riconducibile alla Democrazia Cristiana. Tranne, forse, per il consenso elettorale che accomunano i due partiti. Ma, se questo fosse il metro che viene usato per paragonare i partiti di ieri e di oggi, dovremmo arrivare alla singolare e grottesca conclusione che tutti i partiti che superano o si avvicinano al 30% sono automaticamente simili se non uguali alla Dc. Nei numeri certamente si. Ma nella politica ovviamente no. E la differenza non è marginale ma è semplicemente decisiva. Stupisce che un osservatore attento ed intelligente come Galli Della Loggia continui a non coglierlo.