Card. Carlo Maria Martini
Mentre il Natale suscita istintivamente l’immagine di chi si slancia con gioia (e anche pieno di salute) nella vita, la Pasqua è collegata a rappresentazioni più complesse.
È la vicenda di una vita passata attraverso la sofferenza e la morte, di un’esistenza ridonata a chi l’aveva perduta. Perciò, se il Natale suscita un po’ in tutte le latitudini (anche presso i non cristiani e i non credenti) un’atmosfera di letizia e quasi di spensierata gaiezza, la Pasqua rimane un mistero più nascosto e difficile.
Ma tutta la nostra esistenza, al di là di una facile retorica, si gioca prevalentemente sul terreno dell’oscuro e del difficile. Penso soprattutto, in questo momento, ai malati, a coloro che soffrono sotto il peso di diagnosi infauste, a coloro che non sanno a chi comunicare la loro angoscia, e anche a tutti quelli per cui vale il detto antico, icastico e quasi intraducibile, senectus ipsa morbus, «la vecchiaia è per sua natura una malattia».
Penso insomma a tutti coloro che sentono nella carne, nella psiche o nello spirito lo stigma della debolezza e della fragilità umana: essi sono probabilmente la maggioranza degli uomini e delle donne di questo mondo. Per questo vorrei che la Pasqua fosse sentita soprattutto come un invito alla speranza anche per i sofferenti, per le persone anziane, per tutti coloro che sono curvi sotto i pesi della vita, per tutti gli esclusi dai circuiti della cultura predominante, che è (ingannevolmente) quella dello «star bene» come principio assoluto.
Per leggere il testo integrale
https://www.avvenire.it/agora/pagine/il-senso-della-pasqua-per-chi-non-crede_201104151051267800000