Dove intenda approdare Giorgia Meloni, e se il suo possa essere un approdo ovvero un passaggio, non è affatto chiaro. È ovvio che la sua tentazione sia quella di dar fuoco alle polveri. E dunque di cercare un’occasione per misurare le forze in maniera pressoché definitiva. Che si tratti del premierato o dello scontro con i giudici c’è (sempre sullo sfondo) l’idea che verrà un momento in cui la conta delle forze si farà decisiva e brucerà tutte quelle possibilità di compromesso che la premier considera troppo poco limpide e troppo poco coraggiose.
Il problema è che, se davvero la premier seguirà questa rotta, non si troverà contro i nemici (o, più pudicamente, gli avversari). Piuttosto, a quel punto avrà contro la natura politica del paese, il suo istinto profondo, la sua natura diffusa. Tutto quello cioè che è stato vincolo e limite per i suoi predecessori: dai vecchi democristiani che hanno subito l’onta di Mani pulite con una sorta di dolorosa e impotente rassegnazione allo stesso Berlusconi che ha fatto tuonare più di quanto sia riuscito a far piovere (per fortuna, dico io).
Non sono tanto in discussione le ragioni e i torti che pure contano assai. È in discussione per l’appunto la natura po- litica del paese. E cioè se il vincitore abbia diritto di prendere tutto in ragione dei suoi numeri o se invece la vera conquista del potere stia nella sua capacità di generare un equilibrio più vasto che comprenda anche qualche ragione da parte degli altri. Viene da dire, troppi nemici, nessun onore.
Fonte: La Voce del Popolo – 24 ottobre 2024
[Testo qui riproposto per gentile concessione del direttore del settimanale della diocesi di Brescia]