C’è qualcosa di tragico, e forse anche di involontariamente comico, nel tipo di destra che si va affermando nel mondo. Javier Milei, il nuovo presidente appena eletto in Argentina. Donald Trump, dato in testa in molti sondaggi negli Usa. Figure che appaiono per qualche verso caricaturali.
Eppure insidiose, ben oltre il limite del sovvertimento delle nostre regole democratiche e liberali. In Europa, per nostra fortuna, non siamo messi così male. Qualche volta vince la sinistra. Qualche altra volta vince una destra meno minacciosa. Ma nell’insieme regge ancora una tradizione politica più civile, che lascia aperti i giochi. È un’alternanza, non una deriva. Almeno per ora.
Quello che colpisce è lo spaesamento che queste tendenze evidenziano. Come se non ci fosse sufficiente consapevolezza del fatto che una democrazia ha bisogno di pazienza, di rispetto, di misura, di civiltà, per poter reggere la sfida dei tempi che si annunciano. In tutto il mondo il modello liberal-democratico ha perso la fascinazione di un tempo. Dittature brutali e altre più blande rivendicano di saper decidere più in fretta, evitando la confusione e il disordine che la dialettica delle forze in competizione recano sempre con sé.
Sembra quasi che il paradigma del nostro lungo dopoguerra, culminato simbolicamente nella caduta del muro di Berlino, stia cominciando a declinare. Per lasciare il posto a un’inquietudine che si diffonde da un paese all’altro, da una contesa all’altra. Al suo posto si intravede la sagoma della motosega brandita dal nuovo presidente argentino. Un pessimo, inquietante segnale.
Fonte: La Voce del Popolo – 23 novembre 2023
[Testo qui riproposto per gentile concessione del direttore del settimanale della diocesi di Brescia]