Appare quasi come una missione impossibile il compito che s’è data Elly Schlein: quello di portare il Pd fuori dalle secche. E infatti per ognuno dei dossier che si accumulano sulla sua scrivania non ce n’è uno che sembri essere minimamente condiviso.
Che si candidi alle europee oppure no, che faccia la faccia feroce con la Meloni o cerchi di ricalcare una postura più dialogante, che dia ascolto ai suoi critici o li sfidi in campo aperto, comunque sia grava sempre su di lei un’aria di disincanto che fa sembrare lontana, lontanissima l’incoronazione delle primarie, appena un anno fa. Si capisce che in questo contesto la via d’uscita possa esserle apparsa quella di andarsene al cinema.
Ora, chi scrive non ha nessun titolo per dare consigli. Penso però che nei partiti, in tutti i partiti, esista sempre un momento della verità. Un attimo, anche solo un attimo, in cui ci si parla senza ambiguità e senza troppa diplomazia e si portano in superficie tutte le questioni che dividono. In quell’attimo non vige più la disciplina di partito, vige l’obbligo della reciproca verità. Tanto più se si tratta di una verità scabrosa.
Portare il confronto sui fondamentali e discutere se i presupposti identitari del partito sono ancora quelli su cui a suo tempo venne fondato rappresenta un obbligo e forse anche un’opportunità. E Schlein a questo punto ha il dovere di prendere per le corna il toro del chiarimento, evitando per una volta indulgenze e diplomazie. Ne ha il dovere e magari anche l’interesse. Non sarà un film edul- corato, in questo caso. Ma il finale forse è ancora da scrivere.
[Articolo tratto, per gentile concessione del direttore, dal n. 4 (24 gennaio 2024) del settimanale della Diocesi di Brescia]