La Voce del Popolo | Tifosi degli uni e degli altri senza mediazione.

È dai tempi di Tangentopoli che ogni indagine, ogni procedimento, ogni giudizio richiama opinioni tutte d’un pezzo, mai scalfite anche solo da una perplessità, da un ragionevole punto di domanda.

Quello che colpisce, nella rovente polemica di questi giorni sul destino giudiziario di Matteo Salvini, è come si sia dissolta ogni possibile via di mezzo tra i tifosi degli uni e degli altri. Delle due l’una: o il ministro è perseguitato da giudici di parte oppure i giudici sono l’unica trincea di difesa della vita repubblicana. In mezzo, niente. Non un dubbio, non una domanda, neppure una sottile incrinatura delle reciproche e opposte convinzioni. 

Ora, è chiaro che chi è parte in causa difende la sua parte e la sua causa. Ma è dai tempi di Tangentopoli che ogni indagine, ogni procedimento, ogni giudizio richiama opinioni tutte d’un pezzo, mai scalfite anche solo da una perplessità, da un ragionevole punto di domanda. Come se ai bordi di un immaginario ring vi fosse posto solo per le opposte tifoserie. 

È questo il formato del nostro zelante bipolarismo (anche giudiziario). Non esiste un solo dirigente del centrodestra che non scommetta sull’innocenza del vicepremier, né un solo dirigente del centrosinistra che non esprima altrettanta certezza sulla sua colpevolezza. Così le posizioni si radicalizzano sempre più, per la gioia di quanti scommettono sull’esito più cruento della disputa in corso. Con tutte le conseguenze del caso. 

Personalmente faccio una certa fatica a prendere posizione. O almeno, ad esprimermi con certezze troppo stentoree. Ai suoi tempi Hegel ammoniva sul fatto che le grandi tragedie della storia erano sorte dal conflitto tra due ragioni. Ma temo che anche il conflitto tra due torti possa portare quasi altrettanta sfortuna nelle nostre più piccole contrade.