L’AMA, LA MORTE A DENTI STRETTI NEI CIMITERI ROMANI.

Un dipendente dell’AMA, Azienda Municipale Ambiente di Roma, si è affrettato a togliere i denti d’oro ai morti che gli capitavano sotto mano. Non si è risparmiato nel puntiglioso adempimento delle proprie incombenze del tutto complice con le proprie vittime.

Quando la morte è a farti visita si ha sempre un comprensibile disagio. Sarà per questo che un dipendente dell’AMA, l’Azienda Municipale Ambiente di Roma, con giusta sollecitudine, si è affrettato a togliere i denti d’oro ai morti che gli capitavano sotto mano. AMA è l’acronimo di “Ask Me Anything”. Tradotto significa “chiedetemi quello che volete”. Per questo il becchino si è preso diligentemente dalla salma un souvenir di valore. Ciò non ad integrazione del lavoro fatto, ma invece ricordando che souvenir sta per subvenire, andare in soccorso a chi ne abbia bisogno. Non se l’è fatto ripetere due volte e subito si è speso per il morto, di fresco estumulato, per fargli prendere una boccata d’aria dopo tanto buio. 

AMA il prossimo tuo come te stesso è il comandamento al quale non si è sentito di disattendere. Probabilmente, appassionato di poesia, ne ha pensata una con una nuova formulazione, appena cambiando la geografia del volto: “Verrà la morte e avrà i tuoi denti” potrebbe calzare a pennello. Del resto la morte non è avvezza al sorriso e pur priva di un dente nessuno potrà accorgersene. La pubblicità potrebbe sbizzarrirsi sopra attingendo dallo slogan di un vecchio detersivo. Da “Ava come lava!” ad “Ama, come ama!” il passo è breve. È ora questo il grido di battaglia di quel cimitero.

La giustizia si sta interrogando se l’uomo estirpatore, così ricco di pietà, si sia mosso con l’innocenza di chi ha denti da latte o con la saggezza di chi vanta i denti del giudizio. Sensibile agli scritti di letteratura, davanti al magistrato, potrà difendersi richiamando Baricco: ”Aveva un dente d’oro proprio qui, così in centro che sembrava l’avesse messo in vetrina per venderlo”, ed ho pertanto provveduto all’incombenza. Forse, più ragionevolmente ammettendo la sua colpa, potrà dire che quando c’è poco da mettere sotto ai denti è meglio rimuovere il migliore, per far intendere agli altri che è inutile aspettare qualcosa da mangiare. È bene, ancor più da morti, avere il senso della realtà e non abbandonarsi agli inganni. L’età dell’oro, secondo la mitologia, è il momento in cui l’uomo può nutrirsi e vivere senza lavorare, al bando ogni malanno e la giustizia. Infine si muore senza invecchiare o soffrire. 

Troppo bello per essere vero. La morte pretende l’incertezza della sorte di chi le si affida. Ostentare un dente d’oro non vale a condizionarla, facendola indulgere per consegnarti in Paradiso. Per il poeta Esiodo l’età dell’oro sarebbe il tempo di «un’aurea stirpe di uomini mortali», che passavan la vita con l’animo sgombro da angosce, lontani, fuori dalle fatiche e dalla miseria; né la misera vecchiaia incombeva su loro…tutte le cose belle essi avevano». Pare che il binomio sia inscindibile, che non possa esserci traccia d’oro senza la scorta di un’aura nei paraggi. L’aura è un soffio vitale e un’aura di santità deve aver avvolto, come un’aureola, il becchino che non si è risparmiato nel puntiglioso adempimento delle proprie incombenze del tutto complice con le proprie vittime. Con lo stile dell’epoca, Petrarca scriveva: «Erano i capei d’oro a l’aura sparsi…». Manzoni per primo comprese che di fronte al mistero della morte ogni giudizio non ha senso, tutto si riduce ad unità; la carità, nella sua forma estrema del perdono, primeggia su tutto, per cui “In qual ora, in qual parte del suolo, Trascorriamo quest’aura vital, Siam fratelli”. 

L’addetto ai servizi cimiteriali non è stato nuovo a queste gesta. Sulle spalle già un processo per vilipendio di cadavere per una mancia chiesta ai familiari di un defunto nello svolgimento del suo lavoro. Dai giornali si legge che abbia rivenduto la refurtiva ad uno di quei Compro Oro tanto di moda da trent’anni a questa parte, da quando la crisi economica ha fatto mordere non solo i denti agli italiani. Il titolare sembra sia della zona di Centocelle che, stando all’onomatopea, non lascia sperare nulla di buono per il suo destino di libertà in mano alla giustizia. Par che si chiami Ciabattini. Ciabattino è detto chi fa male il proprio mestiere. Peggio, se in panciolle, è in attesa di una manciata di oro mentre con le comode scarpe di riposo, calzate dall’originario tempo del giorno dello Shabbat, se ne sta a casa vagheggiando sui prossimi profitti. Si deve battere il ferro finché è caldo è la regola da osservare, così precipitando nell’età in cui si torna al sudore. Il ferro è utile a fabbricare armi. Il nostro becchino è uomo ispirato. Sarà per questo che si è rifugiato nell’oro.