In un complicato gioco di numeri e percentuali, di cui un giornalista specializzato come Gianni Trovati dava conto ieri sul “Sole 24 Ore”, viene fuori qualcosa che riporta a verità la questione del debito de Comune di Roma. Basta togliere di mezzo l’esercizio virtuosistico sulla congruità degli interessi contratti – ma non sono frutto del mercato a seconda dei tempi e delle circostanze? – per scoprire che il debito è largamente sovrastimato. Infatti, la quota legata agli espropri per le Olimpiadi del 1960 è probabilmente da sterilizzare: chi sarebbero i creditori?
Bisognava tener conto, allorché si è posto mano alla operazione di “impacchettamento” del debito capitolino, che l’antico contenzioso sui terreni pagati a prezzo agricolo – secondo il criterio regolativo del diritto di esproprio invalso nel secondo dopoguerra – non era e non è destinato a risolversi nella vittoria dei vecchi proprietari delle aree. A distanza di anni, questa scoperta a riguardo della voluta dilatazione del debito imprime in generale, al di là di Roma, un sigillo negativo sulle politiche di finanza locale e sul modo di organizzare la promozione e lo sviluppo del territorio italiano.
Se dal debito si passasse al tema dell’innovazione, specie sul lato delle applicazioni telematiche, si vedrebbe il ritardo che ha accompagnato l’intervento a favore degli enti locali. L’Associazione dei Comuni registra da tempo la sofferenza del “mondo” che essa rappresenta. Mentre si discute del futuro, dall’intelligenza artificiale al sistema del G5, Sindaci e amministratori locali sono lasciati alla deriva, senza l’apporto di progetti e strumenti adeguati. Prevale in sostanza la buona volontà dei singoli attori, non lo sforzo di indirizzo e coesione, che solo può valere nel confronto serrato tra governo e autorità municipali. Sull’innovazione tecnologica si gioca l’avvenire tanto delle grandi città quanto dei piccoli centri, ognuno con il carico specifico delle proprie esigenze e aspettative.
Ci vorrebbe uno “snodo operativo”, capace di leggere le problematiche dei Comuni, per congiungere l’azione dello Stato a quello delle autonomie locali. Ancitel, società a maggioranza Anci, aveva questa missione: era nata, negli anni ‘80, per innervare con specifici servizi la dimensione informatico-telematica dell’universo comunale. Oggi ritorna in auge il suo ruolo propulsivo. Archiviata una stagione, finanche controversa a causa di progetti andati a male e sui quali la magistratura intende far chiarezza, si profila l’uscita di scena dell’amministratore delegato.
Spetta all’Anci indicare la strada del rilancio, ben sapendo che l’eventuale opacità di reazione metterebbe in difficoltà il sistema delle autonomie locali. È più che mai necessario aprire un nuovo ciclo, politico e culturale, altrimenti sulla finanza locale e sull’innovazione tecnologica nei territori continuerebbe a prevalere la superficialità di approccio e di gestione registrata ampiamente in questi ultimi anni.