Ormai lo dicono un po’ tutti. In Italia, storicamente, “si governa dal centro” e, soprattutto, nel nostro paese, “si vince al centro”. E preso atto che questa vulgata si adegua praticamente a tutti i governi di qualsiasi schieramento tranne a quelli di trazione populista e demagogica perché semplicemente esulano dalla logica e dalla cultura democratica, credo sia arrivato anche il momento per chiedersi di quale Centro siamo parlando. E questo perché se per quasi 50 anni sapevamo perfettamente cos’era il Centro – si identificava, infatti, con il ruolo politico, culturale ed istituzionale esercitato dalla Democrazia Cristiana – già all’inizio della cosiddetta seconda repubblica la confusione cominciava a prendere piede perché vi erano molti soggetti politici che si intestavano quella categoria.
Ora, per non dilungarsi su chi è più patentato e legittimato a fregiarsi di questo progetto politico, credo che almeno su tre elementi non si può non condividere una comune valutazione politica.
Innanzitutto un partito di centro e che declina una vera e credibile ‘politica di centro’ – per dirla con i grandi leader della Dc – non è mai un partito personale. Una deriva, questa, che è sostanzialmente incompatibile con la cultura, la prassi, il pensiero e l’esperienza di un luogo politico centrista. E questo per la semplice ragione che il Centro è un progetto che si costruisce nell’alveo del pluralismo culturale. Non può mai identificarsi con gli umori, le bizze, il trasformismo e l’opportunismo politico e parlamentare di un singolo, indiscutibile ed indiscusso capo partito.
In secondo luogo il Centro rifugge, storicamente e culturalmente, da ogni sorta di massimalismo, radicalismo e populismo. Detto con parole ancora più semplici, un progetto politico di centro non può mai essere presente all’interno di partiti che, seppur legittimamente, praticano e coltivano quelle prassi. Del resto, un Centro è credibile, e di conseguenza, esiste solo se quelle derive sono largamente minoritarie e marginali all’interno delle singole coalizioni politiche o alleanze elettorali.
Sarebbe singolare ed anacronistico, quindi, definire partiti come il Pde la Lega, per non parlare dei populisti pentastellati, partiti che coltivano una cultura e una politica di centro. Ne sono, almeno sotto il profilo politico e culturale, antropologicamente alternativi.
In ultimo, ma non per ordine di importanza, il Centro e una politica di centro quasi si identificano con una ricetta politica e di governo riformista. Non esistono, cioè, partiti o luoghi centristi che praticano disinvoltamente politiche demagogiche, massimaliste e puramente propagandistiche.
Sono, questi, metodi funzionali a partiti che fanno della sola propaganda populista la loro ragion d’essere. Non a caso, sono partiti che non contemplano al loro interno presenze e culture politiche riconducibili, seppur vagamente, all’indole centrista. Al massimo, si distribuiscono una manciata di seggi parlamentari a sedicenti centristi per dire che il partito è, comunque sia, plurale.
Ecco perché si deve essere chiari quando qualcuno si autoproclama centrista. Sono solo i fatti concreti che ci dicono se un partito ha una cultura, un metodo e un progetto politico centrista, riformista e moderato. Tutto il resto appartiene solo al campo vacuo e sterile della propaganda.