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martedì, 7 Ottobre, 2025
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Le piazze e il voto

Tra la protesta e le urne, il divario si allarga. La sinistra riempie le strade ma non le schede. E il Centro non trova rappresentanza.

Dunque, nelle Marche ha stravinto il centrodestra. La sinistra ne esce sconfitta e il Centro, in quella coalizione, non è pervenuto.

Nella Calabria, peggio ancora: il Centro non tira come nelle Marche, e anche qui la coalizione progressista ne esce con le ossa rotte.

Schlein, la segretaria del Pd, la risposta l’ha già fornita nei giorni scorsi. Da un lato, smentendo la propaganda di un anno, ha sostenuto che “per il Pd il voto in una regione non è affatto un test nazionale”.

Dall’altro, ha aggiunto che “conta il voto nelle regioni più popolose”. Cioè, per i non addetti ai lavori, conta dove il Pd vince anche da solo per l’antico e robusto radicamento comunista e di sinistra — penso alla Toscana — oppure anche, e soprattutto, per l’insipienza e l’irresponsabilità del comportamento politico del centrodestra, cioè la Campania e la Puglia.

Un nodo politico non trascurabile

Ora, però, e al di là della propaganda spicciola, c’è un aspetto politico che non può e non deve passare inosservato.

È quello dibattuto su molti organi di informazione dopo le imponenti manifestazioni di piazza organizzate dai sindacati e dai movimenti riconducibili alla sinistra — seppur nella loro multiforme espressione.

E cioè: esiste qualche correlazione tra il concreto voto dei cittadini italiani e le manifestazioni di piazza?

Domanda non banale. Perché, al di là dell’ipocrisia e delle menzogne in circolazione, si tratta pur sempre di manifestazioni organizzate prevalentemente, se non quasi esclusivamente, contro il Governo Meloni e la coalizione di centrodestra.

Va pur detto — come ha giustamente ricordato il presidente del Censis, Giuseppe De Rita — che si tratta di manifestazioni prive di immediata mediazione politica e istituzionale, difficilmente classificabili con categorie politiche nette e definitive.

Tuttavia, se non dovesse più esistere alcuna correlazione significativa di carattere politico, si corre il serio rischio di una radicale dissociazione tra la cosiddetta politica istituzionale e la tanto decantata — e sempre verde, ma contraddittoria — società civile.

Quello che un tempo, negli anni ’70 e ’80, si chiamava più semplicemente distacco tra il “Paese legale” e il “Paese reale”.

Il distacco tra piazze e urne

Ed è proprio su questo versante che non si può non fare una riflessione politica più legata alle vicende contingenti.

Detto con parole molto semplici: com’è possibile che il grande martellamento propagandistico, mediatico e politico, accompagnato da massicce mobilitazioni di piazza tutte riconducibili alla sinistra e accomunate da un odio implacabile contro il centrodestra — almeno stando a parole d’ordine, striscioni, cori e insulti — poi, puntualmente, non si traduca in un incremento dei consensi elettorali per quei partiti che sono in prima linea durante le manifestazioni?

Qualcuno dice che si tratta di effetti che si faranno sentire nel tempo. Può darsi. Ma nel frattempo, in una società sempre più fluida e decodificata, può anche darsi che il tempo cancelli rapidamente un’emozione per sostituirla con un’altra.

Senza modificare, almeno per ora, un equilibrio politico che da ormai molti anni resta sostanzialmente statico.

Piazze piene, urne vuote: slogan sempre attuale

Ecco perché, al di là dell’antico e sempre attuale “piazze piene e urne vuote” di nenniana memoria, forse è arrivato il momento di interrogarci — tutti, nessuno escluso — sull’intreccio e sul legame, se ancora esiste, tra la piazza e le istituzioni, tra la protesta e i partiti, e soprattutto tra l’umore della pubblica opinione e il comportamento elettorale dei medesimi segmenti sociali.